Nuovo scenario geopolitico dopo la Guerra del 1967. Fonte: https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4061236
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L’articolo di Désirée A.L. Quagliarotti è apparso sul Numero 5, Gennaio – Aprile 2025, di LAB Politiche e Culture
Per gli ebrei, la fondazione di Israele rappresenta il compimento di un’aspirazione millenaria che segna la fine dell’esilio e il ritorno alla Terra Promessa, un rifugio sicuro e una patria nazionale conquistata dopo secoli di persecuzioni, culminati nella tragedia della Shoah. Questo momento di rinascita è celebrato come Yom Ha’atzmaut (Giorno dell’Indipendenza), una giornata di orgoglio nazionale che simboleggia il trionfo e la resilienza del popolo ebraico.
Per i palestinesi, lo stesso evento è ricordato come la Nakba (in arabo, ‘catastrofe’), un termine che racchiude il trauma collettivo dell’esodo forzato di centinaia di migliaia di arabi palestinesi, la perdita delle loro terre e la distruzione di intere comunità. La Nakba rappresenta una ferita ancora aperta, un simbolo di perdita della patria e di umiliazione nazionale. Ogni anno, i palestinesi commemorano questa giornata come un momento di lutto e riflessione sulla loro identità frammentata e sul destino irrisolto del loro popolo.
Queste due narrazioni, profondamente divergenti, incarnano visioni opposte della stessa data storica e continuano a influenzare la memoria collettiva e le percezioni reciproche dei due popoli, alimentando il conflitto israelo-palestinese.
La nascita dello Stato di Israele suscitò una reazione immediata da parte dei paesi arabi vicini, che respinsero il Piano di Partizione delle Nazioni Unite, ritenendo l’istituzione dello Stato ebraico un atto illegittimo e contrario ai loro interessi politici e territoriali.
Il conflitto esplose il giorno successivo alla dichiarazione d’indipendenza, quando gli eserciti di cinque paesi arabi — Egitto, Siria, Giordania, Libano e Iraq — insieme a forze irregolari palestinesi e arabe, attaccarono il neonato Stato di Israele, dando inizio a una guerra su vasta scala. La guerra, durata circa dieci mesi, si concluse con gli Accordi di armistizio del 1949, che stabilirono le linee di demarcazione conosciute come Linee Verdi. A seguito del conflitto, Israele ampliò significativamente il territorio rispetto a quanto assegnato dal Piano di Partizione delle Nazioni Unite, passando dal 55% al 78% della Palestina mandataria. Tra i territori conquistati vi erano la Galilea, gran parte della costa centrale e meridionale, e altre aree strategiche. I territori che avrebbero dovuto costituire lo Stato palestinese furono, invece, suddivisi tra la Giordania, che annesse la Cisgiordania e Gerusalemme Est, e l’Egitto, che prese il controllo della Striscia di Gaza.
La sconfitta dei palestinesi non fu soltanto militare, ma anche politica. La redistribuzione territoriale, infatti, privò il popolo palestinese della possibilità di avere uno stato proprio, consolidando una condizione di esilio e dispersione che avrebbe continuato a alimentare il conflitto nei decenni successivi. Oltre 400 villaggi furono distrutti o spopolati, dando inizio a un esodo di massa: circa 750.000 palestinesi furono costretti a fuggire dalle loro terre e a rifugiarsi nei paesi arabi vicini.
Ma questa è solo una parte della storia.