E no, eh! Non puoi mica metterla sul razionale quando ti batte il corazòn! Tra le lacrime, la commozione della gente, quella sincera e quella esibita ed esibizionista, la corsa dei politici a rappresentarsi sui media come partecipi del dolore dei Napoletani – e magari qualcuno e più di uno tra loro lo è davvero – le note più stonate sono quelle di chi pretende l’analisi del capello della salma del più grande calciatore di tutti i tempi per vedere se c’è ancora traccia di cocaina e per tirarsi fuori dal coro degli osanna al drogato.
E certo, mica ci sarà persona assennata che possa proporre Diego Armando Maradona come modello di vita? E neanche come modello di atleta. Sarebbe da ricovero. La sua esistenza non potrà mai essere un modello da emulare per qualsiasi giovane di questo mondo. Lo sapeva lui stesso. Una volta, uscito da una delle tante terapie disintossicanti a cui si è sottoposto, un giornalista, sfrontato, gli chiese: “Cosa sarebbe stato Maradona se non avesse tirato cocaina?” “Se Maradona non avesse tirato – lui parlava spesso di sé in terza persona – chissà che calcio avremmo visto!”
Lo sapeva bene, la droga non ne aveva esaltato il talento, lo aveva mortificato piuttosto. E gli aveva accorciato la vita agonistica. Ora purtroppo ci accorgiamo che non gli ha tolto solo anni di carriera sportiva. A sessant’anni si è ancora giovani e si potrebbe dare ancora molto. Ma tant’è, Maradona se n’è andato, resta vivo il suo mito.
Soprattutto resta il suo legame ancestrale con la città di Napoli, con la sua plebe in particolare. Antonio Corbo raccontava ieri sul TG3 nazionale di averlo conosciuto giovanissimo, componente della Primavera del Barcellona. Saputo che quel giornalista era di Napoli, quel ragazzotto gli aveva detto che sperava con tutto il cuore di poter giocare un giorno a Napoli. A Napoli? Ma perché, stai al Barcellona, mica nell’Empoli. Napoli non era e non è certo un passo in avanti nella carriera di un calciatore del Barcellona.
Diego però non ragionava, sentiva. Avvertiva che qui, a Napoli, si sarebbe realizzato.
Ci ha fatto vedere numeri stellari. Più ancora, ha irradiato la sua classe su tutta la squadra. Anche uno scarpone, avendolo a fianco, diventava un campione. Ha vinto due scudetti, una Coppa Uefa e, aveva ragione, chissà quanti altri trofei, a cominciare dalla Coppa dei Campioni, avrebbe regalato ai Napoletani se la droga non gli avesse rubato il cervello ed i muscoli.
Non credo avesse studiato la storia d’Italia, la conquista del Regno delle Due Sicilie, la questione meridionale. Eppure anche su questo terreno, lui sentiva. Avvertì l’umiliazione di un popolo e di una città una volta capitale, finiti per essere etichettati e derisi con pizze, mandolini, mani leste e pistole. Si ribellò alla spocchia ed al potere del Nord e li sfidò. La sua lunga battaglia calcistica contro la Juventus, il Milan, l’Inter fu la bandiera del riscatto di Napoli. Tutta la città , non solo quella del tifo, si riconobbe in quella ribellione, nella sua vincente voglia di riscatto. Grazie Diego, che fortuna averti visto calpestare l’erba del San Paolo.
A proposito, non sarebbe il caso di dedicargli il suo Tempio, quello stadio San paolo che lo vide protagonista? Sarebbe una bella iniziativa, che tutta Napoli apprezzerebbe.
C’è però chi obietta: si può dedicare uno stadio ad un drogato? Che esempio è stato per i giovani di Napoli? Quanti ne ha indotti alla droga?
Mi permetto, sommessamente, di dissentire. Certo qualcuno avrà pure cercato di imitarlo e di emularlo, ma mica è stato facile! Ottavio Bianchi, il mister degli scudetti che lo allenò, a quanti gli chiedono quanto sia stato difficile allenare una persona così complessa, risponde sempre: “Allenare Maradona è stato facile, il difficile è stato allenare quelli che si credevano Maradona!”.