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L’economia di San Benedetto

by Piera De Prosperis
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San Benedetto

Il 24 marzo Stroncature ha ospitato una nuova puntata in webinar della trasmissione Transatlantica, diretta da Vincenzo Pascale, dal titolo “L’economia di San Benedetto” con Luigi Gravagnuolo, Giuseppina Spina e Guglielmo de Giovanni Centelles.

Perché parlare ancora di San Benedetto quando di questo santo dell’Alto Medioevo sembra di aver già detto e sentito tutto? Perché la sua figura è stata anomala nel panorama altomedioevale, foriera di sviluppi successivi di enorme portata e perché ancora oggi la sua modernità è sorprendente. L’incontro seminariale si è proposto lo scopo di evidenziare la capacità della figura di Benedetto di conciliare Oriente e Occidente e di aver, inconsapevolmente, avviato quel processo di trasformazione economica che sarebbe sfociato nel rinnovamento dei secoli successivi.

La prof Giuseppina Spina, storica dell’arte, ha sottolineato l’importanza dell’iconografia del Santo quale mezzo per comprenderne il profondo e duraturo messaggio. Le immagini sui frontespizi delle più antiche edizioni della Regola presentano il Santo tra i fondatori del monachesimo occidentale, segnale di consapevolezza di continuità, ma soprattutto con l’indice della mano sulla bocca a sottolineare l’importanza del silenzio. Il silenzio come situazione necessaria e propedeutica all’ascolto. Quello che serve perché una società sia accogliente. La comunità benedettina nel suo evolversi si apre al territorio ed è in dialogo con esso. Un rapporto che non è necessariamente fatto di parole, ma di diffusione della cultura del lavoro. Solo ascoltando il territorio, le sue caratteristiche, le sue energie, è possibile ai monaci dare vita a bonifiche e dissodamenti, ripristino di vecchie colture e impianto di nuove. Lo scambio a partire dal silenzio. Le abbazie dovevano autosostentarsi per cui puntare sul territorio, avendone cura, sarebbe stato l’unico modo per poter sopravvivere e lentamente ma inesorabilmente potenziarsi. Da storica dell’arte, la prof. Spina ha sottolineato inoltre come nella costruzione delle abbazie, i monaci abbiano sperimentato un’architettura nuova che, forte delle conoscenze costruttive del passato, si adatta all’esigenza più urgente del tempo: l’accoglienza. Pittura, architettura, scultura dialogano tra loro e con la comunità che ha bisogno di trovare un nuovo punto fermo nella catastrofe della caduta dello Stato Romano.

Luigi Gravagnuolo, ex sindaco di Cava de’ Tirreni in una vita passata, ma attualmente oblato benedettino, cultore ma soprattutto appassionato della storia della sua città, è partito per il suo intervento da un paradosso: alcuni uomini in fuga dal mondo e che non avevano intenzione di cambiare la struttura socioeconomica del loro territorio, finiscono con il cambiare le strutture dell’intera Europa, malgrado loro. I monaci che nei piccoli cenobi composti al più di dodici persone (come gli apostoli), senza nessuna voglia di cambiare il mondo, dedicandosi solo alla ricerca di Dio, entrano in dialogo con un mondo che non entra nel monastero ma che ha bisogno di esso per acquisire quella pratica di vita quotidiana senza la quale non si sopravvive. Nihil amori christi praeponere, nulla anteporre all’amore di Cristo (San Benedetto Regola 4,21). La ricerca di Dio come fine della ricerca. Eppure i benedettini furono le leve dello sviluppo dell’Occidente. Contro i monaci itineranti, la Regola di San Benedetto prevede la stabilitas. E’ a partire da questa novità che essi divennero educatori ed istruttori in un periodo storico (VI, VII, VIII sec.) in cui ci si sentiva deboli ed esposti e avvicinarsi al monastero, trovare ricovero materiale e spirituale tra le ampie braccia del Santo e dei suoi fratelli, significava accoglienza e pace. Si costruirono mura intorno al primitivo nucleo abbaziale, nacquero piccoli agglomerati in cui il tempo veniva scandito secondo le stesse tappe della giornata dei monaci: i cenobi proliferarono, se ne fondavano altri che portavano con sé il bagaglio culturale delle esperienze fatte. Insomma, una rete di protezione che si estende, per quel che riguarda Cava, fino in Sicilia, nel momento di massimo fulgore. L’intervento di Gravagnuolo, ricco di informazioni storiche e riflessioni sul presente si è concluso con una considerazione: i benedettini hanno fondato l’Occidente, malgrado loro stessi cioè malgrado la loro indifferenza a riformare il mondo. Non a caso San Benedetto è patrono d’Italia ma è anche patriarca dell’Occidente.

Guglielmo de’ Giovanni Centelles, professore straordinario di Storia del Mediterraneo al Suor Orsola, ha evidenziato i legami tra il monachesimo benedettino e quello egiziano, in particolare per quel che riguarda il titolo di abbas. In Egitto, dove la parola nasce, indicava il superiore di un’abbazia, mentre in Occidente con San Benedetto l’abbas è sottoposto ad una Regula. L’esempio evidenzia i rapporti tra le comunità del Mediterraneo, luogo di forte circolazione di idee ma anche di elaborazione. San Benedetto assoggetta la vita comunitaria ad una regola per sottrarre il cenobio all’instabilità del cambiamento di autorità. La vita cenobitica doveva era segnata dalla stabilitas.

Vincenzo Pascale ne ha sottolineato la modernità in un’epoca di furiosa globalizzazione. La stabilitas come ancoraggio per poter accogliere. Solo se ci si aggrappa ad una boa si può tentare di salvare chi in mare sta annegando.

Spunti di riflessione, meditazione e approfondimento. Il passato non è mai veramente tale se in esso riconosciamo le nostre radici. Parlare di San Benedetto è parlare di noi, dell’Occidente e di quei valori fondanti della nostra civiltà che non dovremmo mai perdere.