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Il Centro Regionale Radioattività dell’Arpac

by Flavio Cioffi
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Radioattività non significa solo centrali nucleari dismesse, ma anche elementi naturalmente radioattivi. L’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), nel Rapporto 2020 su “la sorveglianza della radioattività ambientale in Italia”, parla di radon, di rutenio e di cesio. Il sistema di controllo nazionale è articolato in una rete di sorveglianza (RESORAD)  sulla radioattività e in una rete di allarme (GAMMA), oltre a quella autonoma del Ministero dell’interno. Poi vi sono le Reti Regionali. In Campania abbiamo il Centro Regionale Radioattività (CRR) dell’Arpac, a Salerno. Lo guida Giancarlo De Tullio, al quale ci siamo rivolti per capire come opera concretamente l’Agenzia in un settore tanto delicato.

Di quale struttura è dotato il CRR?

L’Arpac è organizzata in aree analitiche e territoriali, quindi analisi e campionamenti/ispezioni. Il CRR ha entrambe le strutture. Nel laboratorio disponiamo di scintillatori, spettrometri alfa, beta e gamma anche portatili e tutto quello che serve per i controlli che siamo chiamati a svolgere.

Come interagisce la rete di sorveglianza regionale con quella nazionale?

Della rete Resorad fanno parte stazioni di rilevamento che sono posizionate in tutta la Campania, di solito presso le stazioni dei Carabinieri forestali, e che sono gestite a livello nazionale. Noi eseguiamo i rilevamenti sulle matrici ambientali (acqua, terreno, suolo, ecc.) e ne trasmettiamo i risultati all’Isin.

Parliamo del radon, che pare sia la seconda causa di tumore ai polmoni dopo il fumo. E’ un gas naturale che si trova nelle rocce, e quindi nei materiali da costruzione, per cui entra negli edifici (radon indoor).

Il 50% del radon viene dal terreno, il 20% dall’acqua e il 30% dai materiali da costruzione. Le rocce vulcaniche, come il tufo o il cemento da pozzolana, ne sono infatti ricchi. Inoltre, l’efficientamento energetico degli immobili limita le dispersioni di calore e tende ad aumentare le concentrazioni di radon. E’ un problema che può essere superato con la scelta dei materiali da utilizzare e adottando specifiche tecniche costruttive che possono evitare l’ingresso di radon dal terreno: impermeabilizzazioni, areazioni naturali o forzate, pozzetti nei quali far “sfiatare” il radon grazie alla minore pressione.

Il rapporto nazionale dice che le misurazioni effettuate in Campania non sono molte.

Attenzione. Noi saremmo tranquillamente in grado di effettuare controlli a tappeto sin da domani, anche perché il monitoraggio negli edifici non richiede un grosso impegno. Si posizionano i rilevatori, si lasciano sei mesi e poi si fanno le analisi. Però l’Arpac può eseguirli solo quando viene chiamata. Nel 2019 fu approvata una legge regionale che prevedeva una serie di obblighi sui luoghi di lavoro, ma i relativi termini sono stati sospesi e il processo ne è risultato rallentato. In ogni caso ci arrivano tra i 20 e i 50 certificati al giorno. Anche varie scuole sono state controllate. Quanto alle abitazioni, la verifica avviene su base volontaria.

Però il direttore generale dell’Arpac, Stefano Sorvino, in un articolo dell’anno scorso pubblicato dal nostro giornale auspicava un’adeguata pianificazione.

Infatti siamo partiti con specifiche convenzioni per il monitoraggio di scuole, caserme, prefetture ed altri uffici pubblici. Ma l’Arpac resta un organo tecnico-strumentale con competenza ambientale e, pertanto, deve essere esplicitamente coinvolta per intervenire sulla materia sanitaria. Il confine tra gli aspetti ambientali e sanitari è sottile ma, allo stato, dobbiamo essere chiamati dagli Enti preposti. E non è detto che non succeda su larga scala. E’ infatti ripartito il tavolo tecnico per definire le linee guida regionali di intervento. Qualcosa quindi si sta muovendo e certamente in quella sede avanzeremo le nostre proposte.

Quando si parla di radon nell’acqua a quali acque ci si riferisce?

Alle acque potabili, superficiali e di rete. Noi analizziamo tutte le acque destinate al consumo umano, su tutto il territorio campano, sulla base dei campioni che ci portano gli Ispettori sanitari. I risultati sono sempre molto al di sotto dei limiti, anche di dieci volte. Tanto che ci stiamo confrontando con la Regione per rimodulare il numero dei controlli, un’ipotesi che viene studiata anche a livello nazionale.

Se dico Rutenio e Cesio come mi risponde?

Che non presentano alcuna rilevanza radiologica e i valori rilevati sono sempre inferiori a quelli di riferimento.

Allora veniamo alla dismissione dell’ex centrale nucleare del Garigliano. Cosa fa l’Arpac?

I controlli sulle matrici ambientali. Quando vengono scaricate acque reflue noi eseguiamo autonomamente prelievi e analisi. Eseguiamo anche il monitoraggio delle aree circostanti. Sia sulle acque del fiume, anche alla foce, che sul terreno e sul particolato atmosferico. Facciamo anche prelievi, interni all’impianto, di acque sotterranee. Collaboriamo con Isin e siamo in diretto contatto con la Sogin, la società dello Stato che segue la dismissione della centrale, che ci avvisa quando effettua attività particolari. Ovviamente non abbiamo mai rilevato anomalie.

E’ stata recentemente pubblicata la mappa dei siti potenzialmente idonei ad ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Ce ne sono in Campania?

No, credo perché siamo zona vulcanica e sismica. Sarebbe pericoloso. Tanto che proprio per questo motivo la centrale del Garigliano venne fermata ancor prima del referendum che bloccò il nucleare in Italia.

In conclusione, ritiene necessario implementare l’attività del CRR?

Allo stato riusciamo a far fronte alle esigenze, limitandoci però allo stretto necessario. Tutti i campioni di acque potabili che ci arrivano vengono analizzati, così come vengono evase tutte le altre richieste. Nell’ottica di iniziare a fare monitoraggi più serrati, però, servirà ulteriore personale. Sarebbe infatti utile, oltre a potenziare tutte le attuali attività, eseguire monitoraggi specifici sulle zone che sappiamo essere ad alta radioattività naturale, come le zone vulcaniche.