La digitalizzazione sta innovando l’organizzazione dei sistemi economici e di conseguenza anche la filosofia e la modalità del fare impresa. Si farà sempre più industria, in un mercato a più marce ed a più velocità. L’e-commerce è la punta più visibile di un iceberg in profondo movimento. Il capitalismo delle piattaforme sta introducendo una forma di relazioni sempre più interconnesse tra produttori e consumatori, nella quale la logistica assume un ruolo sempre più centrale. Le imprese non devono cambiare solo il modo di produzione e le piattaforme (cloud o non cloud), ma concepire ed acquisire nuovi strumenti, sulla base di processi e modelli dinamici.
Nel Meridione esistono allo stato liquido condizioni per far lievitare sia cultura della digitalizzazione sia innovazione. Basta far riferimento alla felice esperienza della Università Federico II con Apple. E non solo. Una su 5 startup nel Mezzogiorno d’Italia nasce a Napoli (dato Infocamere). Il capoluogo campano è al terzo posto per startup (dopo Roma e Milano): si tratta di un indizio confortante, sintomo della voglia e dell’esigenza di creare. Ma non esistono imprese e finanza in filiera (ed in connessione mediante catena del valore) come altrove: meno della metà di Roma e metà della metà di Milano.
Alle aziende che producono innovazione o alle imprese che devono assorbire digitalizzazione nei propri processi di produzione manca ancora, nel Mezzogiorno, un ambiente fertile per crescere e contaminarsi. Servono altri asset da organizzare in contesti fertili: contenitori di economia gestionale, design, marketing, internazionalizzazione. Mancano ancora palestre per la costruzione, il consolidamento e lo sviluppo delle imprese innovative.
La trasformazione digitale riguarda l’intero nostro Paese, ed anche il Mezzogiorno. Troviamo in questo caso conferma della tesi secondo la quale la questione meridionale è questione nazionale. Cominciamo dalla analisi pubblicata nel 2020 dall’Istat nel rapporto su “Digitalizzazione e tecnologie nelle imprese italiane”. Nel periodo 2016-2018 oltre tre quarti delle imprese con almeno 10 addetti (77,5%) hanno investito, o comunque utilizzato, almeno una delle 11 tecnologie individuate nel questionario del censimento come fattori chiave di digitalizzazione. L’utilizzo congiunto di tali tecnologie – in particolare, di una combinazione tra infrastrutture digitali e tecnologie applicative – viene quindi proposto come indicatore sperimentale di maturità digitale. La maggior parte delle imprese utilizza però un numero limitato di tecnologie, dando priorità agli investimenti infrastrutturali (soluzioni cloud, connettività in fibra ottica o in mobilità, software gestionali e, necessariamente, cyber-security) e lasciando eventualmente a una fase successiva l’adozione di tecnologie applicative.
Sinora, il grado di “digitalizzazione” delle imprese è stato misurato essenzialmente in termini di infrastrutturazione (accesso alla banda larga, numero di apparecchiature acquistate od utilizzate, ecc.), con il rischio che una rapida diffusione della capacità tecnica di utilizzo di strumenti digitali potesse dare l’impressione di una maturità digitale che, in realtà, esisteva solo potenzialmente. L’utilizzo di infrastrutture digitali giunge a saturazione tra le imprese meno digitalizzate (quelle con investimenti “soltanto” in 4 o 5 tecnologie); solo molto più lentamente si diffondono applicazioni più complesse e con maggiore impatto sui processi aziendali: appena il 16,6% delle imprese ha adottato almeno una tecnologia tra Internet delle cose, realtà aumentata o virtuale, analisi dei Big Data, automazione avanzata, simulazione e stampa 3D.
Il discrimine dimensionale nell’adozione di tecnologie digitali è assai marcato. Ha effettuato investimenti digitali il 73,2% delle imprese con 10-19 addetti e il 97,1% di quelle con oltre 500 addetti. Meno significative sono le differenze territoriali: si passa dal 73,3% nel Mezzogiorno al 79,6% nel Nord-est. A livello settoriale emerge il ruolo trainante dei servizi: le telecomunicazioni (94,2%), la ricerca e sviluppo, l’informatica, le attività ausiliarie della finanza, l’editoria e le assicurazioni hanno percentuali di imprese che investono in tecnologie digitali superiori al 90%. Il primo settore manifatturiero per investimenti digitali è la farmaceutica (94,1%), seguita a distanza dalla chimica (86,6%).
La rivoluzione digitale è, ad oggi, realtà concreta e irreversibile, che interessa ogni settore delle nostre società e ne sta profondamente modificando le dinamiche. La trasformazione di interi settori della società attraverso la produzione, la distribuzione e il consumo di dati digitali è una realtà dinamica, che caratterizza e struttura nuovi terreni di competitività destinati a gerarchizzare i mercati nell’arco dei prossimi decenni. Si tratta di una trasformazione imperniata su tecnologie orientate alla realtà aumentata e virtuale, la stampa 3-D, l’intelligenza artificiale, la blockchain.
Una stima della Commissione Europea, peraltro, considera che il valore della data economy passerà dal 2,4% attuale al 5,8% del Pil della UE nel 2025, per un totale di 829 miliardi di euro. Si prevede, altresì, che in Europa il numero di professionisti nel settore digitale passerà, nel 2025, a 10,9 milioni di esperti rispetto agli attuali 5,7. Stiamo parlando di un processo che va assecondato e guidato per non esserne travolti o esclusi: lo smart-working, le videoconferenze, la digitalizzazione del lavoro sono già aspetti noti e non potranno che diventare ancora più cogenti. Obiettivo comune non può quindi che essere il contrasto al digital divide – l’esclusione dai benefici prodotti dal progresso tecnologico e dall’innovazione – con programmi di alfabetizzazione e di sviluppo delle competenze digitali capaci di eliminare il rischio di emarginazione sociale, formativa ed educativa, e il pericolo di diseguaglianze sociali.
Ci sono, dunque, molte posizioni da recuperare sul tasso di digitalizzazione del Paese. L’indice Desi (Digital economy and society index) colloca infatti l’Italia per il 2019 al 25° posto in Europa dopo paesi come la Croazia, la Slovacchia e Cipro e dopo aver considerato alcuni indicatori quali la capacità di fornire una connessione dati ad alta velocità (Connectivity), le competenze digitali dei cittadini (Human capital), la frequenza nell’uso di servizi online quali video, musica, shopping online e home banking, il grado di digitalizzazione delle imprese e la diffusione di sistemi di e-commerce e infine, il livello di digitalizzazione dei servizi pubblici.
Servono iniziative che accompagnino le imprese, soprattutto quelle di piccola e media dimensione, nella trasformazione digitale. Nel corso degli ultimi due anni, con il progetto PIDMed, Societing 4.0 ha incontrato oltre 500 imprese delle province di Caserta e Salerno e avviato almeno 200 piccole progettualità di trasformazione digitale. PIDMed è il Punto Impresa Digitale a vocazione Mediterranea realizzato dalle Camere di Commercio di Caserta e Salerno in collaborazione con l’Università Federico II. I Punti Impresa Digitale (PID) sono strutture di servizio promosse da Unioncamere (ce ne sono 88 in tutta Italia) che sono dedicate alla diffusione della cultura e della pratica del digitale nelle micro, piccole e medie imprese di tutti i settori economici. Con questa esperienza sono nate varie idee su nuove modalità di supporto per lo sviluppo del sistema imprenditoriale locale “addomesticando” le tecnologie al genius loci come, ad esempio, la possibilità di condividere soluzioni 4.0 e creare sistemi di “data commons”, dove i dati vengano intesi come bene comune a servizio di interi settori/comparti/distretti.
La strada da percorrere sul sentiero della digitalizzazione è ancora molto lunga. Secondo il Centro Studi di Confindustria, l’89% delle 67.000 piccole imprese manifatturiere, comprese fra i 10 e 49 addetti, sono ancora oggi analogiche o digitalmente incompiute. La situazione migliora nelle imprese con 250 e più addetti, dove quasi la metà rientra negli «innovatori 4.0 ad alto potenziale». Sommando a questo dato anche i «possibili innovatori» si raggiunge l’88% del totale.
Mentre la struttura manifatturiera delle imprese deve ancora compiere – in buona parte – un percorso verso la riconversione digitale, esiste un mondo di start up digitali che stanno fiorendo, soprattutto nel Mezzogiorno. A dirlo sono i dati di un rapporto pubblicato nel 2017 da Censis- Confcooperative, che incorona la Campania come regione dove negli ultimi anni c’è stata la maggiore crescita di imprese digitali. Dal 2011 al 2017, infatti, il numero delle imprese è cresciuto del 26,3%, a una velocità tripla rispetto a quella del Piemonte (9,1%) e più alta di dieci punti percentuali rispetto ad altre regioni del Nord come Veneto, Toscana, Emilia Romagna e Lombardia.
Le imprese digitali considerate dallo studio sono quelle impegnate nella produzione di software, consulenza informatica, elaborazione dati, hosting, portali web, erogazione di servizi di accesso a Internet e altre attività connesse a telecomunicazioni e commercio al dettaglio attraverso la rete. Sul podio, dopo la Campania, salgono la Sicilia con un aumento del 25,3%, il Lazio con il 25,1% e la Puglia con il 24,2%. Il dato non cambia se si considerano le macroaree: il tasso di crescita delle imprese digitali al Sud si attesta sul +21,9%, seguito dal Centro con un incremento del 20,7%, mentre al Nord si osserva un’estensione della base produttiva pari al 14%.
Concludiamo infine il nostro ragionamento con due esempi di aziende digitali meridionali che hanno dimostrato di consolidarsi sul mercato come soggetti capaci non solo di radicare la propria competenza distintiva ma di ampliarla con una rete di collaborazioni nazionali ed internazionali.
Un esempio interessante di azienda meridionale che ha consolidato il suo posizionamento nella offerta di innovazioni digitali è IdeaSolution. L’azienda è nata nel 2003, ed è oggi una impresa in grado di realizzare qualsiasi tipo di App, sia per interfacciamento con sistemi gestionali remoti sia per la semplice pubblicazione sugli store internazionali di Apple, di Google e di Microsoft. Con una crescita media di fatturato di circa il 70% annuo, 30 milioni di app installate e 6 milioni di utenti mensili, IdeaSolutions si colloca oggi ai vertici delle Software house italiane e stringe sinergie internazionali con i maggiori network pubblicitari mondiali, tra cui Twitter, MoPub ed Inmobi. Siamo in questo caso a Napoli ed in Campania come territorio originario dell’impresa.
Con il secondo caso ci spostiamo in Puglia, ed in particolare a Bari. Un costante investimento in ricerca e sviluppo nel campo dell’ingegneria dei materiali, delle nuove tecnologie e dei servizi industriali è il vantaggio strategico chiave di Roboze. Nata a Bari nel 2013 dalla visione di Alessio Lorusso, inserito nella classifica 2018 di Forbes dei 30 under 30 nella categoria “industry”, Roboze si avvale della collaborazione di un team di giovani talenti che con passione, professionalità e competenza sfidano gli standard della progettazione di soluzioni di stampa 3D sul mercato mondiale. I clienti si affidano al know-how degli ingegneri Roboze per soddisfare al meglio le proprie esigenze industriali nei settori Oil & Gas, Automotive, Motorsport, Aerospace, Manufacturing e Defense. La missione è progettare e produrre le migliori stampanti 3D professionali e industriali, con tecnologia FFF per applicazioni estreme, attraverso la continua innovazione di prodotto per offrire vantaggi tangibili e competitivi agli utenti finali in termini di precisione, versatilità, personalizzazione e convenienza. Sono proprio questi i punti di forza che distinguono le soluzioni Roboze dagli altri competitors