L’Autrice è sociologa esperta di violenza di genere
Solo quando l’amore arriva ad illuminare le nostre vite, quello tra i sessi non sarà più uno “scontro”, ma l’incontro capace di cambiare le regole del gioco.
L’incontro dei sessi è il terreno su cui natura e cultura vennero a contatto per la prima volta, ma è anche il punto di partenza, l’origine di ogni forma di cultura. Le cose di cui è composto il mondo, costituiscono il dato che precede ogni nostra riflessione, l’approccio umano alla “partecipazione al mondo”, al divenire, è mediato sempre culturalmente e gli stereotipi giocano un ruolo determinante in questo processo. In generale gli stereotipi sono caratterizzazioni rigide e tendenzialmente immutabili di un gruppo; sono forme di generalizzazioni in sé neutre che contribuiscono a costruire forme di rappresentazioni che risiedono nella mente e che, se vogliamo, aiutano anche a porsi in maniera immediata rispetto al mondo: una sorta di chiave di accesso semplice alla complessità del divenire. Gli stereotipi sono, dunque, una produzione culturale, ma essi stessi contribuiscono alla reiterazione di modelli conoscitivi e dunque comportamentali.
Dagli stereotipi possono generarsi i pregiudizi, che, a differenza dei primi, non sono mai neutri, e guardano dunque a cose e persone, attraverso la lente deformata del “giudizio di valore”. Il legame della cultura di genere e della violenza sulle donne, con i pregiudizi che si annidano e radicano in alcuni stereotipi, è strettissimo, tanto da aver reso oggi il fenomeno strutturale e non episodico. Abbiamo alle spalle secoli di cultura laica e religiosa che ha giustificato, praticamente fino a ieri, la superiorità presunta dell’uomo sulla donna, sostenendola con racconti, ma anche con leggi e tutele. Lo ius corrigendi, ad esempio, ha permesso fino al 1956 – data della sua abolizione da parte della Corte Costituzionale – al marito di esercitare il suo “potere educativo e correttivo da pater familias”, anche con l’utilizzo della forza fisica, di correggere la moglie, così come i figli. Stiamo parlando dunque, di relazioni asimmetriche fra i coniugi, fra uomini e donne, assolutamente sbilanciate a favore degli uomini, giustificate e volute da norme e consuetudini.
Non diversi, ma anzi generatori di stereotipi e pregiudizi, i miti lontani. Il mito è “l’espressione, la valorizzazione, la codificazione di un credo; difende e rinforza la moralità; garantisce l’efficacia del rito e contiene pratiche che guidano l’uomo” (Malinowski,1976). Il mito, dalle sue origini, viene costruito ed utilizzato per porre un ordine, dare un significato, giustificare un’azione, fornire un modello di comportamento. I miti, dunque, hanno un ruolo di primo piano nell’influenzare o giustificare una scelta, un agire, nella società greca così come in quella contemporanea. I miti si contaminano con le idee che ci appartengono, che attraversano i nostri pensieri, hanno una loro presenza nel razionale, ma anche nella nostra anima; si sono trasformati in credenze, retropensieri, influenzano e facilitano il nostro giudizio, addirittura, come sostiene Galimberti (2009), “ci rassicurano”. Che significa questa ultima affermazione? Significa che il nostro agire viene ad essere “giustificato”, addirittura sostenuto, dai miti, la cui eco in noi è radicata, mettendoci al riparo da sensi di colpa o messe in discussione.
Sul mito, d’altra parte, si fonda molto del racconto storico; senza considerare il loro ampio richiamo per educare, per suggerire comportamenti e stili di vita, per rinforzare gerarchie ed istituzioni. I miti greci, ma anche tutta la letteratura classica, portano con sé valori considerati universali, che si tramandano da millenni.
In tutta la mitologia patriarcale, nel simbolismo dei sogni, della teologia, nel linguaggio, ci sono due vie parallele di interpretazione dell’essere donna, antitetiche:
- da una parte, il corpo della donna è considerato sacro, puro, fonte di vita e non di Maternità, forza, potenza, unica ragione dell’essere femminile;
- dall’altra parte, il corpo della donna è impuro, corrotto, è una minaccia per l’uomo e la mascolinità, è una fonte di contaminazione.
Aver voluto proporre il tema della violenza contro le donne attraverso gli stereotipi forieri di pregiudizi, fino ai miti, di qualsiasi origine siano, mi aiuta a sostenere che, in un’epoca di slogan e semplificazioni, come quella attuale, i miti rappresentano storie a velocità condensata, di immediato impatto, che colpiscono come slogan. Sono storie non reali, ma assolutamente attuali, e ce n’è sempre una dove ogni donna può rispecchiarsi. Ma soprattutto mi sostengono nel dimostrare che la violenza sulle donne è figlia dei tempi, è radicata in millenni di racconti tramandati da generazioni a generazioni, ed ha poco a che vedere con le differenze reali ed inconfutabili esistenti fra i sessi.
Occuparsi di questo fenomeno che solo nel 2021, appena iniziato, ha determinato l’uccisione già di 11 donne, impone una rivisitazione completa dell’approccio culturale alla materia. Non solo leggi e punizioni, necessarie, ma soprattutto bisogna lavorare quotidianamente, con competenza, a più livelli per “educare” le donne a non essere vittime, soprattutto di se stesse, ed agli uomini di non diventare carnefici, in nome di una supremazia inesistente.
Un elemento che contraddistingue tutte le donne abusate è il silenzio. Il silenzio che le avvolge per anni, il silenzio che scelgono isolandosi ed al quale vengono indotte dal loro aguzzino, che spesso è un abile manipolatore affettivo. Il silenzio che è un misto di paura, senso di colpa, inadeguatezza, assenza di pensiero autonomo, vergogna.
Ma il silenzio delle donne ha radici profonde ed antiche e le affonda nel Diritto Romano. Uno dei doveri della donna romana, nell’antichità, era proprio quello del silenzio. Nel Pantheon romano si ritrovano alcune divinità che dovevano tacere e dare questo esempio, tra esse Lara, una bella ninfa che era venuta a sapere che Giove desiderava “possedere” sua sorella Giuturna. Lara lo riferì alla sorella e il dio punì questo suo ardire, strappandole la lingua e rendendola muta. Poi Giove la mandò nel regno dei morti affidandola a Mercurio che, annoiato, durante il viaggio la violentò. Dallo stupro nacquero due gemelli, i Lari, protettori dei confini e della città. Lara diventò Tacita Muta e venne venerata per essere la madre dei Lari.
Questo mito, uno tra i tanti, non ha bisogno di ulteriori letture e commenti, ma certo indica il difficile e doloroso cammino di emancipazione della donna attraverso la storia. Ancora oggi i manipolatori affettivi, che spesso hanno il volto di uomini “normali”, condannano le donne al silenzio. Ma il silenzio delle donne non uccide solo se stesse, uccide la verità ed ipoteca ilo futuro, anche degli uomini. Tacita Muta deve reincarnarsi in Lara e riprendere il diritto alla parola in libertà.
Non c’è più tempo.