Carmela Manco: “Un giorno, mentre stendevo i panni al sole, vidi dalla finestra un bambino seduto all’ingresso della canonica. Gli chiesi cosa stesse facendo lì da solo, preoccupata che la mamma lo stesse cercando. ‘Mamma lo sa’, mi disse. Il piccolo non aveva nulla. Dovevo fare qualcosa”.
Carmela Manco ha perso il conto di quanti “nipoti” ha, però se li ricorda tutti. Suora laica, fondatrice e presidente dell’associazione Figli in Famiglia e da luglio scorso anche “Commendatore della Repubblica italiana” per il suo grande impegno civico e sociale, è molto più di tutto questo. E’ la nonna di San Giovanni a Teduccio, il simbolo e l’esempio di chi continua a sperare e a combattere, di chi aiuta tutti, a prescindere da quanto siano “scamazzati”. E’ la donna che nell’ex fabbrica di via Ferrante ci ha visto un’oasi. Di nome e di fatto. Un luogo dove poter aiutare le famiglie della zona, in cui crescere i bambini ed alleggerire chi ha troppo peso da portare sulle spalle.
L’associazione Figli in Famiglia, di fatto, nasce il 4 marzo del 1993. Ma la sua storia inizia da molto prima, quando c’era solo la sagrestia “sgangherata” di una chiesa molto piccola per una comunità troppo grande. Era il 1983, galeotto fu quel bimbo che mangiava una merenda di fortuna sulle scale. Carmela iniziò a prendersi cura di quel bambino e di tanti altri piccoli vagabondi. “Li invitai mangiare a casa mia. Il primo giorno ne vennero un paio, poi ne arrivarono otto, poi dieci e alla fine erano talmente tanti che non sapevo dove metterli!” Ricorda, e sorride.
“Ci serviva uno spazio. E nel 1998 ho iniziato a sognare l’Oasi perché dalla finestra della mia stanza vedevo questo enorme capannone abbandonato e io, invece, avevo i bambini e non sapevo dove ospitarli. Così, mi sono messa alla ricerca del proprietario, una persona meravigliosa che ci ha subito messo a disposizione questo spazio in affitto: 3 milioni e mezzo al mese per 4mila metri quadrati.” Un sogno che diventa quasi realtà per Carmela, ma i lavori da fare erano davvero tanti. Ora aveva uno spazio enorme “ma in uno stato di abbandono totale. – racconta – Quando pioveva, l’acqua entrava dentro anche se c’era il tetto. E a dir la verità, in molti ambienti il tetto non c’era nemmeno, lo stabile era abbandonato da quasi 30 anni”.
Ma senza fretta e senza sosta, da quel luogo è iniziata ad uscire tanta luce. E così, grazie a vari interventi di ristrutturazione sono nati la palestra Mangrovia, lo spazio giochi con gazebo e tavoli per feste dell’Agorà, l’aula Virgilio, il “Laboratorio d’icone e cornici” che costituisce una delle sezioni di avviamento al lavoro della Scuola d’Arte Napoletana frequentata da giovani a bassa scolarizzazione segnalati dai servizi sociali e dal Tribunale dei minori. O’ Bbarriciello ‘e l’Oasi, un punto ristoro con una sala capace di accogliere fino a quaranta persone e la Sala Aldo Annunziata, un grande salone in cui crescere insieme come famiglia. “Nel 2005 siamo riusciti ad ottenere un mutuo e per 750mila euro abbiamo acquistato questo spazio che, piano piano, in parte, abbiamo ristrutturato, anche se c’è ancora tanto da fare.” Dice Carmela.
L’Oasi Figli in Famiglia è una punta di diamante in un contesto sfortunato dove il compito dell’associazione è “semplicemente” quello di essere una famiglia: “Ci occupiamo di tutti. Prendiamo bambini dai due anni e mezzo in su per aiutarli in un percorso di crescita sin da piccoli. Ma accogliamo anche i nonni, che diventano una risorsa nella nostra associazione trasformandosi in educatori dei bimbi. In poche parole, il bambino non ha le scarpe? Gliele procuriamo. Deve studiare? Lo facciamo studiare. La nostra è una famiglia fatte di famiglie. Dove c’è bisogno, noi lì cerchiamo di aiutare. Siamo, insomma, una famiglia molto molto allargata. Basti pensare che solo gli operatori, quelli di tutti i giorni, sono una quindicina, a cui si aggiungono i tantissimi volontari.”
Un impegno e attenzione costanti che di certo non sono mancati nemmeno in questo periodo di pandemia globale. Non bastava una realtà difficile da cambiare, il Covid si è inserito di prepotenza mandando a monte i tanti piani e laboratori degli operatori dell’associazione. Niente più grandi gruppi e attività in comune, Carmela e i suoi hanno dovuto far sentire la vicinanza da lontano. Una cosa non semplice, soprattutto con i bambini che, dietro uno schermo, spesso non riescono a stare. Nel primo lockdown l’associazione ha consegnato circa 600 spese. “C’era bisogno di mangiare – e nel dirlo, Carmela si fa più dura – questo è un quartiere povero dove regna la disoccupazione e dove il tentavo di strappare i ragazzi alla camorra non sempre riesce. Una volta arrivato il Covid-19 molti sono rimasti senza lavoro, alcune persone non riuscivano più ad arrivare a fine mese, a pagare le bollette. Abbiamo provato almeno a dare il minimo sostentamento per strapparli da situazioni di malaffare.” Tra i problemi che il Covid ha acuito c’è la disoccupazione, la fame e anche l’evasione scolastica in cui la Dad, spesso, oltre che un vero impedimento per chi non ha gli strumenti è diventata anche la giustificazione per chi non ha voglia. Ed il peso di non riuscire più ad avere un contatto diretto con i bambini, anche in questo, si fa sentire.
“Se i bambini sono motivati e c’è qualcuno che li aiuta sono felici. – racconta – C’era un bambino, 8 anni, che in Dad non si era mai collegato. La mamma è una fruttivendola ed esce di casa alle 4 del mattino, il bimbo resta a casa da solo. Spesso, in queste realtà, non si hanno gli strumenti per fare Dad. Prima che ci chiudessero, la mattina i bambini li facevamo venire tutti qui a collegarsi. Ricordo che il piccolo di 8 anni, dopo aver preparato la lezione di storia con un nostro operatore venne interrogato dalla maestra e prese 8. Il giorno dopo, poi, prese 7 in lettura. Quando venne da me era al settimo cielo, mi ha abbracciata e io mi sono commossa“. Ed è questa, senza dubbio, la sua più grande ricompensa. Non è facile vivere in quel quartiere, ma quando si hanno alleati come Carmela e gli operatori di Figli in Famiglia ogni domani può diventare un po’ più luminoso dell’oggi.
“Chi nasce a San Giovanni, nasce sfortunato ma con una carica in più. Il desiderio di venire fuori è forte, così tanto da permettere a chi sceglie di diventare buono di diventare un piccolo genio. L’augurio che faccio al quartiere è quello di continuare a sperare. Nonostante tutto, ci rimane la speranza di poter continuare a cambiare. Ne verremo fuori, da questa situazione, più forti e belli di prima.”