Contributo elaborato per il documento introduttivo al Convegno promosso dal Circolo Fratelli Rosselli di Roma “Cittadino d’Europa: per la nuova UE” – 16 dicembre 2020
Il Trattato di Maastricht nel 1993 istituì la cittadinanza dell’Unione, conferendo agli europei vari diritti, successivamente rafforzati dai Trattati di Amsterdam (1999) e di Lisbona (2009). Parliamo del patrimonio di diritti e libertà, che già costituiscono la tradizione delle democrazie europee, riaffermato e aggiornato per tutti i cittadini europei dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata nel 2000 dal Consiglio Europeo di Nizza. Ma le cose non sono andate come dovevano.
Dopo tanti anni e tante vicende, un punto di domanda resta ancora irrisolto, o quanto meno privo di una risposta ampiamente condivisa e operativamente definitiva. Come sviluppare il senso di appartenenza all’Unione Europea, nella doppia valenza della diversità culturale e linguistica strettamente congiunta alla reciproca comprensione nel dialogo interculturale. E di conseguenza come costruire un’identità europea fondata su valori, storia e cultura comuni pur nella diversità delle identità nazionali. Sembra un ossimoro ma non lo è.
L’appartenenza identitaria, che permea profondamente il concetto di cittadinanza, fin dalla tradizione greco romana, definisce il rapporto tra l’individuo, la comunità e il territorio, nella triplice dimensione giuridica (diritti e doveri) politica (governo dello Stato) e sociale (interazioni)
In questo senso sembrerebbe difficile parlare di cittadinanza europea visto che l’Unione Europea è tecnicamente una pluralità di stati con ben definiti popoli e ambiti territoriali. Ma proprio per questo la cittadinanza europea, come appartenenza identitaria in riferimento a un quadro sovranazionale, costituisce la sfida di fondo, e la più importante, per raggiungere lo stato e la coscienza di un’Europa dei popoli piuttosto che di un popolo europeo. Solo questa dimensione di coesione degli spiriti prima ancora che delle realtà materiali può produrre gli auspicati intenti comuni e visioni condivise.
In questo scenario si pone come prioritario allo scopo il fatto che i riferimenti territoriali e culturali con i relativi corollari identitari, nel processo di costruzione dell’appartenenza, prevedano la valorizzazione delle differenze in chiave non conflittuale. Si pone inoltre come prioritaria la condizione che l’attrattività della condizione di cittadini europei abbia una base etico politica insieme a quella etnico culturale. In modo che abitare l’Europa in tutte le sue declinazioni sia metafora della complessa relazione di costruzione e affermazione identitaria, individuale e di gruppo, e possa contrastare la spersonalizzazione che i processi globali producono, creando un legame che orienta la stessa capacità di agire.
Quindi non un’identità europea sommata ad un’identità nazionale, in una identità orizzontale, bensì un’identità (e cittadinanza) multilivello.
Per perseguire questo ambizioso obiettivo occorre appunto affrontare il problema su più livelli, con profondità e determinazione. Livelli da considerare come ambiti interconnessi: gli ambiti educativi (la scuola e la famiglia) costruttori di coscienze, gli ambiti culturali (le attività e i mezzi di comunicazione) costruttori di modelli, gli ambiti di rappresentanza (i corpi intermedi) costruttori di regole e ideali di democrazia e civiltà, gli ambiti istituzionali (il parlamento e il governo) promotori e garanti della selezione e della salvaguardia dei comportamenti politici e etici. Si creerebbe così il racconto di come l’Europa costituisca uno spazio condiviso e federatore per un mondo più umano, e la rilettura del percorso di costruzione del modello sociale europeo e dei valori che stanno alla sua base potrebbero dare vita a una narrativa comune che si proponga quasi come “mito fondativo”.
Quanto alle implicazioni operative, un esempio. Dagli ambiti interconnessi in grado di costruire e/o rafforzare il senso di identità sovranazionale del cittadino europeo, spiccano prioritarie e fondanti la scuola e la formazione; per creare memorie e significati condivisi, simboli e miti comuni, monumenti e cerimonie, e così di conseguenza contrastare sentimenti (populismi) anti UE ai quali la Brexit sembra aver conferito vigore, appeal e visibilità mediatica. A questo scopo servirebbe creare un progetto educativo comunitario, da condividere e utilizzare in tutta l’istituzione scolastica europea, che ripercorra i molteplici fattori e intrecci grazie ai quali si è via via delineata, nella sua peculiarità, quella che oggi chiamiamo Europa. Senza dimenticarne però l’ambito mondiale. Aggiungendo in altri termini un fattore in più come chiave di novità in un paradigma che comunque è già abbastanza condiviso, almeno nelle intenzioni. Ed è l’approccio cosmopolita, che non abolisce le differenze quanto piuttosto attribuisce loro un quadro comune e uno statuto di uguaglianza in uno scenario che oltrepassi addirittura i confini dei continenti, in una visione pluralista ereditata, perché no, dal pensiero illuminista.
In questo modo l’Europa di oggi, in un impossibile ma fascinoso scenario da antica agorà greca, può essere una grande “piazza” che ospita milioni di giovani e adulti che provano a ridisegnare regole e valori della democrazia dell’uguaglianza e della solidarietà.