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Deposito nazionale rifiuti radioattivi: not in my back yard

by Giulio Espero
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In Italia l’approccio alla problematica dell’energia nucleare è sempre stato confinato in un doppio ambito. Schematizzando, da una parte l’approccio ideologico/ambientalista che la rifiuta a priori per i motivi legati alla pericolosità intrinseca degli impianti nucleari. Dall’altra i sostenitori della crescita industriale perenne, sempre alla ricerca di nuove fonti di energia, magari inesauribili ed a basso costo.

Dalla sciagura di Cernobyl e dal successivo referendum sull’abolizione del nucleare uscito stravincente dalle urne, ci siamo ipocritamente adagiati sotto il comodo ombrello della facile politica Nimby, Not In My Back Yard, non nel mio cortile. Espressione utilizzata per indicare quell’approccio, scaltro per così dire, per il quale la collettività vuole usufruire esclusivamente dei benefici di un investimento a patto di non vederne i rifiuti nel proprio orticello.

Da allora abbiamo continuato bellamente a consumare energia elettrica di derivazione nucleare, pare gran parte prodotta in Francia ovvero a qualche chilometro dai nostri confini, acquistata ad un prezzo altissimo che si riverbera chiaramente sulle nostre bollette. Ci siamo messi in pace con la coscienza e ci siamo illusi che il problema si fosse risolto. Purtroppo, non si è magicamente risolto.

Non solo per via degli impianti nucleari che incombono al di là delle Alpi (Germania, Francia Svizzera), ma anche per il doppio problema del decommissioning delle centrali nucleari dismesse e dello stoccaggio definitivo dei rifiuti radioattivi. Hai voglia di girarci intorno!

Dalla puntuale comunicazione della Sogin apprendiamo due cose.

La prima, che in Italia i centri che producono e/o detengono rifiuti radioattivi sono decine: installazioni nucleari (4 centrali e 4 impianti del ciclo del combustibile); centri di ricerca nucleare; centri di gestione di rifiuti industriali; centri del Servizio Integrato.

La seconda, che per la loro numerosità sul territorio nazionale, risultano significativi i centri di medicina nucleare, fra cui gli ospedali. Queste strutture trattengono la maggior parte dei rifiuti radioattivi che producono fino al loro completo decadimento, per poi smaltirli come rifiuti convenzionali. La restante parte viene conferita agli operatori del Servizio Integrato, il sistema di raccolta e gestione dei rifiuti radioattivi sanitari e industriali, che provvedono al loro stoccaggio nei propri depositi temporanei in attesa, previo trattamento e condizionamento, del conferimento al Deposito Nazionale.

Della Sogin ci siamo già occupati più volte su questo giornale. Qui ricorderemo brevemente ai nostri lettori che è la società di Stato, interamente partecipata dal MEF, responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, compresi quelli prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare.

All’inizio di quest’anno Sogin, pubblicando dopo il via libera da parte dei Ministeri dello sviluppo economico e dell’ambiente la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) ed il progetto preliminare del Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, ha di fatto avviato la connessa procedura pubblica di consultazione prevista dalla legge.

Leggendo la documentazione ci è parso subito evidente, al di là della chiarezza di intenti e dello spirito veramente divulgativo e partecipativo di chi l’ha predisposta, che il procedimento ipotizzato per la sistemazione definitiva del problema rifiuti radioattivi è lungo, complesso ed articolato.

Dovrebbe più o meno svolgersi così.

Sogin ha elaborato la proposta di CNAPI adottando, per l’analisi di una vastissima raccolta di dati territoriali, una procedura per applicare i criteri indicati nella Guida Tecnica n. 29 dell’Ispra e così escludere progressivamente le aree non potenzialmente idonee.

L’Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) valida la CNAPI prima menzionata.

Quindi, si apre la consultazione pubblica che dura centoventi giorni e che terminerà con un seminario nazionale a cui parteciperanno vari soggetti. Tra cui l’Isin stessa, gli Enti locali, le associazioni di categoria, sindacati, università, enti di ricerca ed anche i “portatori di interesse qualificati” (con tutto quello che il termine vuole indicare).

Dalle risultanze di questo seminario la stessa Sogin dovrà elaborare una nuova mappatura, denominata CNAI – Carta Nazionale delle Aree Idonee, che verrà nuovamente sottoposta ai pareri del Ministro dello Sviluppo Economico, dell’ente di controllo Isin, del Ministro dell’Ambiente e di quello delle Infrastrutture.

Sulla base di questa CNAI, Sogin aprirà una seconda fase di confronto pubblico, finalizzata a raccogliere le manifestazioni d’interesse, volontarie e non vincolanti, da parte delle Regioni e degli Enti locali il cui territorio ricade anche parzialmente nelle aree idonee a ospitare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico. Dopodiché, anche all’esito di un nuovo tavolo istituzionale, si dovrebbe arrivare ad una decisione definitiva.

Immaginiamo sin d’ora il profluvio di polemiche, battaglie, scienziati un tanto al chilo, sindaci incatenati sotto Palazzo Chigi, manifestazioni no Rx, negazionisti laureati su Wikipedia. Non vorremmo sembrare cinici o inutilmente ironici, ma se tutto questo si risolvesse in un ventennio, sarebbe davvero il nuovo miracolo italiano.

Miracolo, intendiamoci, non esclusivamente nel senso della riuscita tecnica del procedimento, ma soprattutto qualora si sviluppasse una mentalità nuova, da parte dei cittadini prima e dei politici poi, dove si declini obbligatoriamente, senza infingimenti, ipocrisie o convenienze di bottega, l’idea che ogni scelta programmatica ha i suoi risvolti anche negativi. Dobbiamo raccontarci che ogniqualvolta facciamo una radiografia o viaggiamo con l’alta velocità, da qualche parte inevitabilmente si producono rifiuti radioattivi.

E i rifiuti radioattivi, poco o tanto pericolosi che siano, restano tali anche se li getto nel giardino del mio vicino.

Sull’argomento speriamo sia arrivato il momento della responsabilità, e sia finito l’approccio da furbetti. Magari, chissà, questa pandemia mondiale incurante dei confini nazionali proprio come le radiazioni ci ha insegnato qualcosa.