L’Autore, già Ministro dei trasporti, è Direttore della “Scuola Internazionale di Rigenerazione Urbana”.
“Next Generation Italia” e l’annesso “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” costituiscono l’atto programmatico con cui l’Italia da seguito al “Next Generation Plan-EU” varato dal Consiglio Europeo, sostenendolo con risorse finanziarie complessive per circa 223 €/mld, suddivise tra 6 Missioni, 16 Componenti e 47 interventi, sotto forma di riforme e investimenti.
In sintesi e arrotondando le cifre troviamo: Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura: 46 €/mld; Rivoluzione verde e transizione ecologica: 69 €/mld; Infrastrutture per una mobilità sostenibile: 32 €/mld; Istruzione e Ricerca: 28 €/mld; Inclusione e Coesione: 28 €/mld; Salute: 20 €/mld
E’ evidente che si tratta di un programma imponente che partendo dalla profonda crisi causata dalla pandemia può imprimere una spinta decisiva in direzione del miglioramento delle condizioni economiche, sociali, territoriali e ambientali del nostra Paese. Per questo motivo è del massimo interesse che questa azione programmatica venga dispiegata in una prospettiva di alto profilo, basata su progetti di qualità e interventi efficienti ed efficaci.
Uno degli aspetti salienti di questa prospettiva riguarda la qualità dei nostri luoghi di vita – la città, il territorio, l’ambiente, il paesaggio – e allora va subito detto che il PNRR non dedica a questo aspetto una specifica Missione, bensì una serie di azioni e progetti dislocati in diverse parti del Piano. Se si riflette sul peso che i fattori territoriali hanno nell’assetto complessivo del nostro Paese, una simile scelta appare non del tutto condivisibile e obbliga a ricercare i riferimenti al territorio traendoli dall’interno di molteplici Missioni.
Da una simile ricerca emergono linee di azione sicuramente utili al miglioramento della qualità del territorio.
La Rigenerazione dei borghi e delle periferie urbane, nell’ambito della “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”.
La Efficienza energetica e la riqualificazione degli edifici, nell’ambito della “Rivoluzione verde e transizione ecologica”.
L’Alta velocità ferroviaria e la Intermodalità e logistica integrata, nell’ambito delle “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”.
Tuttavia, si tratta di linee di azione che non sono organicamente collocate in un quadro unitario e interconnesso, il che non da certezze sulla reale efficacia delle ricadute sul territorio.
Un discorso diverso riguarda l’Housing sociale e la Rigenerazione urbana, collocate nell’ambito della “Inclusione e Coesione con risorse pari, rispettivamente, a 2,80 e 3,50 €/mld.
L’Housing sociale evoca un problema da tempo non risolto nel nostro Paese, vale a dire la carenza di abitazioni accessibili a ceti e categorie sociali che non dispongono di grandi risorse economiche: giovani coppie, famiglie numerose, studenti universitari, immigrati, incapienti. Su questo versante sono molti anni ormai che è stata abbandonata la cosiddetta edilizia sociale, sicché il problema si è rapidamente aggravato anche in conseguenza del fallimentare lascito di alcuni dei grandi interventi di edilizia pubblica negli anni sessanta-ottanta: Librino a Catania, lo ZEN a Palermo, Corviale e Tor Bella Monaca a Roma, Quarto Oggiaro a Milano, le Vele a Scampia. Alla rigenerazione di questi particolari insediamenti nei quali lo stato di degrado fisico e di disagio sociale è elevatissimo, il PNRR dovrebbe dedicare una specifica linea di azione.
Quanto alla Rigenerazione urbana costituisce il tema centrale su cui appuntare l’attenzione per valutare il tenore delle azioni del PNRR sul territorio, perché è quello su cui si gioca la possibilità di aprire la strada ad una nuova forma di “City Governance” che inverta la consolidata logica della espansione urbana per sostituirla con quella della rigenerazione del patrimonio esistente e, in particolare, di quello dismesso.
Per rendere possibile questo percorso occorre, anzitutto, rimuovere la persistente confusione, largamente presente nel PNRR, tra termini come ristrutturazione, riqualificazione, risanamento, rinnovo e un termine come rigenerazione, confusione che non ha finora consentito di costruire una specifica ed efficace politica di rigenerazione nelle sue diverse componenti normative, economiche, progettuali e gestionali.
Allora, nel momento in cui ci si prepara ad investire risorse ingenti in questo campo, è bene uscire da questa confusione e stabilire una volta per tutte che per Rigenerazione Urbana si intende un complesso di norme, metodi e pratiche che riguardano l’intervento su un oggetto urbano – un’area, un manufatto, un ambiente – al fine di modificarne il genere originario immettendone un altro diverso. Ciò significa che se un opificio industriale dismesso viene trasformato in un centro polifunzionale – come è avvenuto in molte esperienze in Paesi europei – questa è rigenerazione. Viceversa, riqualificare una piazza, ristrutturare un edificio o risanare un ambiente sono azioni di per sé utili e opportune, ma non sono rigenerazione.
Muovendo da questo presupposto il PNRR dovrebbe indirizzare prioritariamente i progetti territoriali verso l’enorme patrimonio dismesso esistente nel nostro Paese, un patrimonio per lo più lasciato in abbandono che genera degrado, inquinamento e mancanza di sicurezza, ai quali corrispondono costi economici, sociali e ambientali rilevanti. Per avere un’idea per grandi linee della enorme dimensione di questo patrimonio dismesso – largamente presente anche all’interno di ambiti urbani – si parla di siti industriali che coprono in totale circa 9.000 Kmq; di 750.000 edifici di varie tipologie; di 50.000 siti monumentali; di 1.500 siti militari; di 1.700 stazioni ferroviarie; di 3.000 miniere.
Peraltro, in alcuni Paesi europei si riscontrano numerosi esempi di come imponenti azioni di rigenerazione urbana abbiano fatto rinascere intere città andate in crisi a seguito di grandi dismissioni, come è avvenuto a Bilbao, a Newcastle, a Liverpool e nella Ruhr, per citare i casi più eclatanti. O anche ad operazioni di minore ampiezza ma che hanno migliorato la qualità urbana di importanti parti di città, come il quartiere Speicherstadt ad Amburgo, il quartiere Vauban a Freiburg im Bresigau, il Museo d’Orsay a Parigi, il Battersea Power Station a Londra, il polo culturale Belle de Mai a Marsiglia e anche in Italia: il Lingotto a Torino, la Centrale Meomartini a Roma, le Officine Grandi Riparazioni a Firenze, oltre al recente avvio del piano per la rigenerazione dello Scalo di Porta Romana a Milano.
Per converso nel nostro Paese sono presenti numerosissime situazioni di dismissioni su cui non si è intervenuti, che costituiscono altrettante ferite aperte. Il caso più eclatante è certamente quello delle aree industriali dismesse: dall’Italsider di Bagnoli, alla Montedison di Crotone, alla SIR di Lamezia Terme, alla Liquichimica Biosintesi di Saline Joniche, alla FIAT di Termoli Imerese, per citare alcune tra le maggiori.
Ma molte altre se ne potrebbero annoverare: dalle numerose caserme a Roma, Milano e Torino, alle Colonie marine della riviera romagnola, ai siti minerari del Sulcis.
E’ su queste ferite che andrebbe direzionata in via prioritaria l’azione di rigenerazione urbana, ma questo allo stato attuale non compare esplicitamente nel PNRR il che rinvia ai previsti provvedimenti che dovranno “stabilire criteri e regole per la selezione dei progetti” e definirne “il quadro di attuazione”.
Sarebbe quanto mai opportuno che in quelle sedi si recepissero le indicazioni di merito che dovrebbero riguardare due specifiche linee di azione.
La prima è l’avvio di un sistematico rilevamento del patrimonio dismesso, con l’obiettivo di costruire una banca dati dalla quale si possa desumere una cognizione dettagliata delle caratteristiche e della disponibilità del patrimonio stesso. L’open-data sul patrimonio delle Pubbliche Amministrazioni realizzato dal MEF, seppur mirato prioritariamente ad altri obiettivi, ne è un significativo esempio.
La seconda è la previsione di attività permanenti di formazione per le diverse figure che andranno ad inferire con questa tipologia di progetti: gli stessi soggetti proponenti, i tecnici delle amministrazioni, i professionisti, gli imprenditori, tutte figure che non è scontato posseggano già le competenze necessarie per la programmazione, progettazione, realizzazione e gestione degli interventi di rigenerazione urbana.