Attraverso l’Ansa ci sono arrivate le notizie riguardanti l’incontro tenutosi a Roma per iniziativa del prof. Massimo Osanna, nuovo Direttore generale dei musei del MIBACT e dal settembre scorso ad interim ancora alla guida della direzione del Parco Archeologico di Pompei.
Massimo Osanna ha presentato le nuove scoperte sulle origini di Pompei, secondo deduzioni e osservazioni che dovranno ovviamente trovare l’adesione del mondo della Cultura Archeologica. Egli le ha elaborate insieme a Carlo Rescigno, accademico dei Lincei e professore di archeologia classica all’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ma anche membro della Commissione verificatrice della idoneità dei candidati a ricoprire il ruolo di nuovo Direttore del parco Archeologico di Pompei.
Tra i partecipanti alla tavola rotonda autorevolissimi archeologi del calibro di Fausto Zevi, professore emerito alla Sapienza di Roma, Carmine Ampolo, professore emerito alla Normale di Pisa e Pier Giovanni Guzzo, per svariati anni Soprintendente di Pompei, presentati dal filologo e accademico dei Lincei Roberto Antonelli.
L’ennesimo colpo di scena del grande comunicatore Osanna stavolta ha avuto per oggetto una scoperta non casuale, ma frutto delle ricerche e delle indagini già da lui stesso anticipate nella mostra “Pompei e gli Etruschi” tenutasi nel 2018 nella Grande Palestra pompeiana, scavata da Amedeo Maiuri negli anni ‘30 del Novecento. In occasione della Mostra lo stesso Osanna, affiancato da Stéphan Verger – dal Novembre 2020 Direttore del Museo Nazionale Romano – segnalava le influenze astrali da loro rinvenute nell’urbanistica originaria di Pompei. Lo stesso Verger nel catalogo scriveva che “… Gli Etruschi, come avveniva a Roma, seguivano una procedura religiosa per stabilire il nuovo spazio abitato nell’ordine del cosmo.” Inoltre si ipotizzava la individuazione del segno specifico della ritualità etrusca nella direttrice dei tracciati stradali di via Stabiana e via Vesuvio di Pompei.
E si richiamava il caso di Marzabotto, di cui gli autori ritrovavano lo stesso asse di orientamento della spectio originaria, cioè un particolare orientamento geoastronomico riportato dagli Etruschi sul suolo destinato ad ospitare una città nuova.
Sarebbero quindi stati gli etruschi a fondare Pompei, a dare alla città la sua forma, ad organizzare le sue strade “seguendo il cielo e le stelle” come già avevano fatto nella loro terra d’origine. E questo molti secoli prima che la città diventasse una colonia romana.
L’ipotesi, secondo Osanna, è quella di una città che viene fondata e costruita nell’arco di pochi decenni da una comunità “di lingua e cultura etrusca” che però per costruire mura, case e templi, si avvale di “maestranze locali”, campane. In quei tempi infatti la Campania era un melting pot di culture, dagli italici ai greci.
Pompei quindi diventa una città ricca e potente fino ad un tragico stop, a noi noto perché rappresentato dalla sconfitta che i Greci, alleati di alcune città campane, inflissero agli Etruschi nel 474 a.C. nel mare davanti a Cuma.
Pompei, che si era schierata dalla parte degli Etruschi, suoi fondatori, sarebbe di fatto sparita dallo scenario campano per quasi un secolo dopo quella battaglia, forse anche abbandonata dai suoi abitanti. Noi non sappiamo ancora quali siano le evidenze di questa “sparizione”. Ma essa ci lascia perplessi.
Pensiamo infatti ai profondissimi solchi del basolato lavico della via Stabiana che dal mare, passando all’oriente dell’altstad pompeiano e lungo la direttrice per Porta Vesuvio, andava verso l’entroterra vesuviano e nolano. Quei solchi incisi dai carriaggi, straordinariamente profondi, testimoniano transiti millenari e ininterrotti, che stimiamo addirittura pre-etruschi.
Per il resto prendiamo atto dell’inesauribile vitalità dello scrigno pompeiano, da cui si continuano ad estrarre perle da esibire all’attenzione del mondo.
Ma esso continua a tenere nascoste quelle più rare e preziose.