Il Capo di Stato Maggiore della Marina, amm. Giuseppe Cavo Dragone, nel corso della sua recente audizione parlamentare, ha evidenziato l’opportunità di realizzare una nave con specifiche capacità ospedaliere quale insegnamento derivante dall’emergenza COVID e in previsione di analoghe e purtroppo possibili emergenze. Da più parti sono fioriti articoli in merito a questa esigenza/opportunità.
Qui di seguito, per Gente e Territorio, l’opinione dell’Amm. Luigi Binelli Mantelli, già Capo di SMD e SMM.
Un’idea molto interessante e una risposta propositiva a favore della collettività che si eleva al di sopra dal solito peana dei Capi delle Forze Armate sulla limitatezza dalle risorse, l’invecchiamento dei mezzi, le esigenze di nuove e più sofisticate capacità militari eccetera. Un peana sacrosanto anche quello in prospettiva futura e in uno scenario internazionale denso di incertezze e rischi come l’attuale.
Ma finalmente, nel caso della Nave Ospedale, un impegno concreto per una necessità urgente che fa onore alla Marina. Un impegno verso il problema centrale di oggi, per l’opinione pubblica come per la politica, che ha colpito trasversalmente l’intero pianeta con pesanti ripercussioni socioeconomiche proprio per effetto della sua globalizzazione.
In questo senso il COVID-19 ha mostrato una realtà cui non eravamo preparati, dimostrando innanzitutto i limiti di alcune dinamiche istituzionali o se vogliamo dei luoghi comuni che davamo per verità assolute, soprattutto in Occidente.
Innanzitutto, la metrica preistorica che associa proporzionalmente l’incidenza di minacce all’interesse nazionale alla distanza del luogo di loro manifestazione (la Cina è lontana o è vicina?).
In secondo luogo, i limiti della ‘logica aziendale’ pervicacemente applicata alle istituzioni. Si è infatti immolato il parametro “resilienza” al costo/efficacia. Emblematico il ribaltamento dal just in case (concetto di ‘scorte di magazzino’) al just in time on-demand (‘zero scorte’ e ‘produzione a domanda’). Con la pandemia abbiamo, invece, scoperto che in questi apparenti risparmi è invece insito un enorme costo implicito – silente – rappresentato dalla totale dipendenza da approvvigionamenti altrui, vulnerabili a significativi e repentini aumenti di domanda (“mascherine”, ad esempio, trascurate in quanto ritenute di limitato guadagno).
Le ripercussioni negative sono evidenti e molteplici: impreparazione iniziale aggravata da una tardiva risposta ad un problema percepito come ‘lontano’; criticità di un sistema sanitario oggetto di tagli (secondo le logiche di cui sopra) e connotato da eccessiva “federalità”, ovvero frammentazione e diversificazione delle politiche di tutela della Salute Pubblica, sfuggite di mano al potere centrale (sarebbe come delegare la Difesa alle singole Regioni).
Uno dei dolentissimi nervi scoperti su cui ha colpito la pandemia è senza dubbio il legame tra il Paese e le sue Forze Armate, che ha dato prova di dover muovere passi in avanti, abbandonando l’esasperata rincorsa al risparmio attraverso omologazione e integrazione di capacità solo apparentemente simili, per recuperare peculiarità indispensabili ad affrontare i momenti di crisi.
La storia ha sempre richiesto al comparto militare una significativa resilienza. Una ‘riserva di spinta’ nazionale, avulsa dalla logica del profitto e orientata alla custodia di capacità strategiche – esempio scorte e infrastrutture medico-sanitarie, centri di comando e controllo ecc. – non economicamente convenienti per chi opera sul mercato.
Di fronte all’emergenza pandemica le nostre Forze Armate sono efficacemente intervenute con risorse preziose, ma con una sostenibilità a ‘respiro corto’. Ciò a causa dell’effetto congiunto di perduranti tagli di bilancio e di politiche di gestione interne miopi che hanno generato controproducenti competizioni endogene tra Forze Armate, anziché preservare le specificità di cui ciascuna di esse è portatrice.
In questo senso, sono emerse le criticità dei tanti ospedali militari chiusi negli anni, molti dei quali invece caratterizzati da una vocazione specifica nella gestione di patologie bisognose di confinamento, del cronico svuotamento dei magazzini, per non parlare della contrazione di organici per medici e infermieri, malgrado la possibilità per i primi di operare congiuntamente nella Sanità Militare e nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale.
La resilienza nazionale alle emergenze di grave portata come il COVID-19 deve anche tener conto della sua morfologia ed è una opportunità per una Nazione di ottomila chilometri di coste dalle quali è possibile raggiungere qualsivoglia località entro un raggio di duecento chilometri orientando il sistema verso una maggior flessibilità e modularità d’intervento dal mare. Tanto più se si considerano le fragilità idrogeologiche e morfologiche della Penisola.
Le unità maggiori della Marina come Nave Cavour o Nave Trieste per dimensioni e flessibilità operative sono ampiamente in grado di operare in questo senso dislocandosi con rapidità e portando sostanziali capacità logistiche e sanitarie, come di ricostruzione sul territorio senza impattare sulla sua logistica, come di direzione e coordinamento dei soccorsi ecc. Lo ha brillantemente dimostrato Nave Cavour in occasione del terremoto che colpì Haiti (operazione “White Crane”), non proprio dietro l’angolo dunque!!
Ma il progetto di una nave ospedale è un’altra cosa perché risponde ad esigenze ben più specialistiche soprattutto offre una preziosa opportunità di recupero di resilienza sistemica ad emergenze sanitarie che richiedano, come per il COVID, di minimizzare se non di azzerare la diffusione del virus e di disporre di aree sicure e controllate di terapia intensiva.
Si tratta di realizzare una piattaforma in grado di assicurare i protocolli necessari al ricovero e al trattamento di soggetti pandemici allontanati così dal territorio e in ambiente controllato. Un ospedale galleggiante dotato di piattaforma per elicotteri e di grandi potenzialità di coordinamento e controllo dei mezzi di soccorso e pronto intervento, in stretta cooperazione, se non in simbiosi, con Protezione Civile (già effettuate esercitazioni in tal senso con Nave Cavour imbarcando sostanzialmente la centrale operativa di PROCIV), con il Servizio Sanitario Nazionale e non ultimo con il 118.
Un assetto sanitario di pronto dispiegamento in grado di garantire una strategica “riserva di spinta”, da riposizionare laddove più opportuno per il Servizio Sanitario Nazionale soprattutto in caso di saturazione delle proprie capacità da emergenze come quella del COVID-1 ma che, in assenza di gravi emergenze, troverebbe un suo naturale impiego in quelle aree afflitte da un Sistema Sanitario debole o carente in attesa del suo rilancio.
La Marina Militare ha già predisposto uno studio (la c.d. “Esigenza Operativa”) che definisce le caratteristiche e le capacità del progetto da definire in sede interministeriale. In estrema sintesi: una Nave di circa 18/20.000 tonnellate capace di una velocità di 18/20 nodi e di ridondante autonomia logistica, quale la produzione e distribuzione ad altri soggetti di energia elettrica, acqua, carburanti e sistemi di comunicazione compresa telemedicina. Produzione fino a 2000 pasti giornalieri. Alloggi per circa 1500 persone di cui 500 sanitari e 400 pazienti suddivisi tra rianimazione terapia intensiva (fino a oltre 100 posti letto) e degenza in ambiente controllato ed impermeabile all’esterno per i rimanenti. Accessi via mare (2 idroambulanze) via elicotteri con Hangar/Triage e via terra da rampe tipo roll on – roll off con circolazione interna compatibile per tutti i sistemi di biocontenimento. Fino a 6 sale operatorie e trattamento ustionati, trattamento rifiuti speciali, ampia disponibilità di stoccaggio e conservazione materiali sanitari e medicali. Il costo potrebbe aggirarsi su 600mln di euro ed essere sostenuto dalla Banca Europea per gli Investimenti come già accaduto per il finanziamento della nuova Nave Idroceanografica ovvero nell’ambito delle prossime disponibilità offerte dagli strumenti di solidarietà europea, come MES/Recovery Funds.
Occorre in conclusione recuperare una credibile e sistematica resilienza nazionale di fronte alle emergenze, cui sono funzionali per loro natura ed esigenza le Forze Armate.
In questo senso, il progetto di una moderna nave ospedale sarebbe un eccellente esempio di rilancio istituzionale, di un sistema-Italia non più-imprigionato dalle contingenze del momento che torna a guardare avanti con lungimiranza e giusta ambizione.
Un bell’articolo di Rosa Colucci, accessibile in rete su “Extra Magazine”, non solo descrive magistralmente l’esigenza nel suo complesso, ma ne propone anche il nome: la Nave “Cristina di Belgioioso”, eroina poco nota, ma grandissima, del nostro Risorgimento.
Sarebbe la prima Unità della Marina a portare un nome di donna. Condivido e sostengo!