Ogni stagione della vita ha la sua musica. Ogni stagione dell’anno ha la sua musica. Ogni ricorrenza ce l’ha. In particolare il Natale. Tu scendi dalle stelle o re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo l’abbiamo cantata tutti, grandi e piccoli, in coro o anche da soli, forse anche fuori stagione, in un momento particolare della nostra vita, quando sembra necessario chiedere aiuto al Dio Uomo.
Per noi napoletani sarebbe però bello rispolverare la primitiva versione dell’inno, cioè Quanno nascette Ninno, scritto forse nel dicembre del 1754 da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, il primo ad utilizzare il napoletano per canti religiosi. Dalla tradizione letteraria sappiamo che il dialetto umbro di San Francesco e di Jacopone da Todi, nel Duecento, richiamava frotte di credenti di scarsa cultura ma di forte credo religioso a cantare le lodi del Signore. Battendo ritmicamente le mani sulla poesia del Cantico delle creature si creava un gruppo di fedeli che si riconosceva nella comune fede e nella comune lingua. L’esperienza del dialetto umbro sappiamo che rimase un unicum nel panorama linguistico dell’Italia in cui prese poi il sopravvento il fiorentino. Allora perché nel 1754 Sant’Alfonso, dottore della Chiesa, utilizza il napoletano? Egli, come teologo, ricupera una fondamentale unità della vita cristiana, basata sull’amore di Cristo Gesù all’uomo. Egli elabora un concetto di vita morale e pastorale per tutti, ponendo come principio la chiamata universale alla santità, non riservata solo a pochi, ma proposta ad ogni cristiano. (Mauro Colavita). Una santità inclusiva che non poteva prescindere dall’accoglienza dei più umili e ignoranti. Di fondo, dice Sant’Alfonso, la santità è alla portata di tutti. Scriverà nella Selva di materie predicabili (1760): «Dio vuol salvi tutti, ma non per le stesse vie. Siccome in cielo ha distinto diversi gradi di gloria, così in terra ha stabiliti diversi stati di vita, come tante vie diverse per andare al cielo».
In quest’ottica perché privare gli umili delle campagne o delle montagne del Regno di Napoli della partecipazione attiva al rito attraverso la forma più unificante di arte?
Nelle prime strofe si descrive la trasformazione del mondo a causa di questo evento Co tutto ch’era vierno, Ninno bello, / Nascetteno a migliara rose e sciure. / Pe ‘nsí o ffieno sicco e tuosto / Che fuje puosto – sott’a Te, / Se ‘nfigliulette, / E de frunnelle e sciure se vestette. Si racconta poi, seguendo il Vangelo di Luca, l’annuncio degli Angeli ai pastori che si affrettano ad andare a trovarlo, come vediamo rappresentato nel presepe napoletano del ‘700. Quindi si descrive l’adorazione del Bambino da parte dei pastori ed infine si parla della necessità di pentimento e di come, nonostante il sacrificio di Gesù, gli uomini continuino a peccare. Il testo napoletano, tradotto poi in italiano dallo stesso Santo e diventato Tu scendi dalle stelle presenta numerose varianti a seconda delle edizioni, frutto in parte di interventi successivi dello stesso autore, ma altre da attribuire alla tradizione popolare che presto si impadronì del brano.
Proviamo a cantarlo insieme nella versione originale.
Quanno nascette Ninno a Bettlemme
Era notte e pareva miezo juorno.
Maje le Stelle – lustre e belle Se vedetteno accossí:
E a chiù lucente
Jette a chiammà li Magge ‘a ll’Uriente.
De pressa se scetajeno ll’aucielle
Cantanno de na forma tutta nova:
Pe ‘nsí agrille – co li strille,
E zompanno accà e allà;
È nato, è nato,
Decevano, lo Dio, che nc’ha criato.
Se proprio non viene bene ascoltiamo la straordinaria interpretazione che ne dà la Nuova Compagnia di canto popolare. Sant’Alfonso perdonerà…