Sono state scene di guerriglia urbana quelle a cui abbiamo assistito qualche giorno fa. Tra via Partenope e via Santa Lucia, all’altezza della sede della Regione Campania, ci sono stati violenti tafferugli tra i manifestanti, impegnati in un corteo contro le misure restrittive, e le forze dell’ordine. Ancora una volta la cronaca ha messo sotto i riflettori della stampa nazionale e internazionale la nostra città, insistendo sulle infiltrazioni camorristiche e neofasciste. Insomma, ancora una volta una somma di stereotipi e informazioni distorte, ma non del tutto sbagliate, nel generale tentativo di etichettare e definire in maniera univoca ciò che è proteiforme. Del resto, la complessità di Napoli non può risolversi in una tavolozza di colori netti. I confini delle categorie sfumano nei grigi.
Ogni esercizio dell’occhio su Napoli è come giocare con un caleidoscopio. Forme e significati si compongono e disfano di continuo, governati dal caso, retti da un principio di indeterminazione piuttosto che di casualità. Basta un impercettibile spostamento del magico strumento perché l’immagine muti e trapassando in un’altra si intessa l’arabesco, uno dei simboli dell’infinito, come il labirinto (Ramondino, Muller)
Scegliamo quindi Napoli come oggetto di confronto e di riflessione. Vi propongo un brano tratto da Napoli assediata di Montesano e Trione, in cui l’oggetto della narrazione è l’Asse mediano. La superstrada che collega Napoli e Caserta attraversando una terribile e spettrale periferia urbana. In brevi racconti di giovani scrittori italiani si percorre un viaggio in quella Infernapoli che può essere esempio di degrado o avanguardia del mondo che verrà. In questo la nostra città può offrire una visione varia, sfaccettata e molteplice del nostro tempo.
L’Asse Mediano non è un’autostrada e non porta lontano. Non collega punti distanti chiaramente individuati dal rassicurante pannello verde, come possono essere Napoli e Milano, per terre di antica e nuova immigrazione, quest’ultima da pronunciare mobilità, ovviamente, per non generare imbarazzanti confusioni. Non è esattamente neppure una grande arteria che tira dritto incurante di quel che la circonda, rendendo difficili gli spostamenti trasversali; sicuramente non ha nulla a che vedere con l’Italia del “boom”, le vacanze, i viaggi, la motorizzazione di massa, l’ingenuo ottimismo di quella Modernità giunta in ritardo. … strada a scorrimento veloce, infrastruttura di supporto alle attività produttive, «opera di urbanizzazione», o almeno così è stata finanziata, ancorata con svincoli e rampe alle periferie delle città più o meno grandi del territorio denso e disomogeneo che attraversa, nell’ipotesi, all’epoca perseguita con ostinazione e speranza, che ogni periferia fosse o potesse diventare periferia industriale.
Domandiamoci cosa si può fare per una città assediata da una periferia che è diventata un non luogo abbandonato e violato, invivibile, e in cui cova il germe della violenza e dell’imbarbarimento. Forse costruire un’ecologia della mente? E come? Con quali strumenti?