Ci sono questioni territoriali e politiche che attraversano i secoli senza trovare soluzioni. In questi giorni si è acceso nuovamente l’eterno conflitto del Nagorno-Karabakh.
Dopo quasi due settimane di combattimento, il 10 ottobre scorso i rappresentanti dell’Armenia e dell’Azerbaigian, grazie alla mediazione del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, avevano concordato una tregua per scambiarsi prigionieri e feriti sotto il controllo della croce Rossa. Ma non ha retto. Già all’indomani della firma, infatti, i due Paesi si sono accusati reciprocamente di crimini contro i civili. In particolare si è parlato di un bombardamento, non ancora confermato da fonti sicure, effettuato dalle forze armate armene su una zona residenziale di Ganja, la seconda città dell’Azerbaigian. Nell’attacco sarebbero morte 9 persone e 34 sarebbero state ferite. Da quando è ripreso il conflitto, il 27 settembre, i morti di entrambi gli schieramenti sarebbero più di 300.
Usiamo l’espressione “ripresa del conflitto” non a caso. Quella di questi giorni è la riproposizione di una guerra che ha avuto la sua acme tra il gennaio 1992 e il maggio 1994 tra la maggioranza armena del Nagorno Karabakh, piccola enclave in territorio dell’Azerbaigian, e la stessa Repubblica azera.
Il Nagorno-Karabakh è infatti una minuscola regione caucasica, 4.400 chilometri quadrati per circa 145.000 abitanti, a maggioranza armena e cristiana. Fa parte della Repubblica dell’Azerbaigian, appunto azera e musulmano sciita, ma è sostanzialmente controllata dall’Armenia. Nel 1988 dichiarò la propria indipendenza. Seguirono anni di scontri che culminarono nella guerra vera e propria, terminata (per così dire) nel 1994 con decine di migliaia di persone cacciate dalle loro case e costrette ad emigrare.
Paradossalmente, l’indipendenza del Nagorno-Karabakh non è stata riconosciuta da alcun Paese al mondo, neanche dall’Armenia che l’ha appoggiata, e per la comunità internazionale fa ancora parte dell’Azerbaijan.
Le origini di questo conflitto risalgono ai tempi della Russia zarista, sotto il cui dominio sono state entrambe le etnie (armena ed azera) per quasi un secolo. Poi, dopo un breve periodo di indipendenza durante la Rivoluzione bolscevica, hanno passato altri settant’anni nell’Unione Sovietica.
Secondo gli storici, il meglio lo avrebbe dato proprio Stalin. In qualità di Commissario per le nazionalità, tra il 1918 e il 1922, disegnò infatti i confini di tutte le nuove “repubbliche sovietiche” non russe nel Caucaso e in Asia Centrale, secondo il classico principio del divide et impera. Ogni stato doveva includere minoranze etniche delle repubbliche vicine per evitare che si sviluppassero vere identità nazionali. All’Azerbaigian Stalin attribuì la provincia del Nagorno Karabakh, nonostante la popolazione di quell’area fosse per quattro quinti armena.
Paesi disegnati sulla carta, pogrom, pulizie etniche, satrapi caucasici che usano la guerra con i paesi vicini per combattere i nemici interni. Lo abbiamo già visto con altri conflitti recenti più vicini ai nostri confini. Soffocare il diritto dei popoli all’autodeterminazione, alla lunga, mutando gli scenari geopolitici, porta sempre alla guerra fratricida.