“I valori che contano” di Diego De Silva, l’ultima avventura di Vincenzo Malinconico, è uno spassoso romanzo appena edito nel periodo post Covid da Einaudi.
L’avvocato di sicuro insuccesso, nato dalla irriverente penna dello scrittore napoletano, anche questa volta è alle prese con un incarico professionale minore (per essere magnanimi).
Una ragazza in slip bussa alla porta del suo pianerottolo e gli chiede di nasconderla perché inseguita dai carabinieri. Scopriremo poi che si chiama Venere, è appena maggiorenne, tra un esame e l’altro all’università si prostituisce in una casa d’appuntamenti per fare dispetto al padre, il potentissimo sindaco rampante Mario Dasporto.
Assalito da dubbi, remore ed incertezze, Vincenzo il nostro eroe, vicino alla mezza età, sempre ai limiti dell’indigenza professionale, una vita matrimoniale ormai sfasciata, alla fine fa entrare la ragazza in casa per nasconderla raccontando un sacco di balle al maresciallo che la inseguiva.
L’avvio spumeggiante del romanzo diventa l’occasione per Malinconico per spiegare il perché, anzi i perché della sua cattiva (anzi buona?) azione.
Mentre vive, cerca di capire come la pensa. Per questo discetta su tutto, benché nessuno lo preghi di farlo. Abilissimo nell’analizzare i problemi ma incapace di affrontarli, dotato di un’intelligenza inutile e di un umorismo prima di tutto rivolto contro sé stesso, si abbandona a divagazioni filosofiche, spicce e profonde allo stesso tempo, accendendo sempre comunque una lampadina nell’attimo in cui ci fa sorridere. La voce narrante di Malinconico diventa il racconto infinito di un’avventura poco più che di facciata, ricco di battute fulminanti e di digressioni pretestuose e sublimi. Puri gorgheggi dell’intelletto l’ha definita qualche recensore di professione.
Già all’inizio il romanzo ci offre un piccolo excursus sulla filosofia morale di Malinconico che ha in odio appunto i “valori che contano”, quelli del titolo, come ad esempio la solidarietà. Tanto facile da professare in astratto, tanto difficile da praticare quando può ritorcertisi contro. La bontà è vera quando non è gratis, la carità pelosa è insopportabile.
Una girandola di tipi umani, presi nell’attimo delle loro incongruenze e delle loro debolezze, ma sempre con un occhio benevolo e sfottitore. Un sarcasmo feroce ed affettuoso al tempo stesso che, di fronte alle miserie umane, diventa l’unica chiave di lettura di una possibile sopravvivenza. Prendiamo Benny Lacalamita, il titolare dello studio legale dove l’avvocato Malinconico presta, con scarsi risultati peraltro, la sua attività professionale. Volgare, bulimico, meschino e traffichino, ma capacissimo di notevoli slanci di profonda amicizia ed umanità. Un bisteccone che vorrebbe divorare ogni avversario professionale ma dal cuore inesorabilmente tenero. “Vincerebbe i mondiali di faccia da culo, se esistessero” pensa Malinconico mentre lo descrive.
Veronica, la nuova bella fidanzata del nostro eroe (che benché sia uno sfigato senza un soldo, riesce sempre a far breccia nel cuore di donne bellissime e sensuali), divorziata anch’essa. A parole una che vuole una relazione solo disimpegnata e saltuaria, ma prontissima a sfoderare le unghie e denti affilati durante i frequenti attacchi di gelosia, anche retroattiva.
Eppoi Mario Dasporto il sindaco padre di Venere. Arrivista, smidollato e superficiale, che vuole a tutti i costi evitare lo scandalo causato dalla figlia prostituta, ma che alla fine, in un impeto di ritrovata paternità, spacca la faccia ad un suo assessore che vuole usare Venere per ricattarlo, confessando poi candidamente tutto al magistrato ed alla famelica stampa locale, assetata di gossip pecoreccio.
Un mirabolante caleidoscopio di personaggi, ritratti al limite della macchietta grottesca, ma dipinti sempre con una mano benevola e di profonda comprensione. Il taglio del plot è da cinematografia alla Woody Allen: cambi di scena netti, dialoghi surreali e dissacranti, battute formidabili che demoliscono senza pietà i luoghi comuni di cui quotidianamente ci nutriamo soprattutto dal punto di vista linguistico.
Malinconico si scaglia contro i luoghi comuni etici, per così dire, da cui il titolo che per intero recita: “I valori che contano (avrei preferito non scoprirli)”. Soprattutto quando scopre di avere “una brutta malattia” che, come a tutti del resto, gli piomba tra capo e collo, rischiando di travolgergli l’esistenza. Il senso profondo della vita – pensa malinconico/Malinconico – non passa attraverso il dolore e la sofferenza, ne faccio tranquillamente a meno. Con la vita meglio avere una storia disimpegnata che starci insieme con la paranoia di perderla.
Buona lettura.