“Non ho più parole da dire, in questi tempi siamo stati travolti da un’alluvione di parole che non accenna a finire e forse anche io ho messo la mia parte. Adesso non voglio più dire parole se non invocare la benedizione del Signore”. Così il Cardinale di Milano, Monsignor Delpini. È che Milano non è abituata ad esistere senza folla. Milano produce. Milano lavora. A Milano si fanno affari. Tutte cose che richiedono un pubblico per esistere. Milano non sopporta il vuoto. Prima dell’epidemia anche Ferragosto era vivo, qui. Ieri no. Ieri abbiamo scoperto che le vaste navate del Duomo, pur con la magnifica voce di Bocelli, sono incomparabilmente vuote.
Il contrasto con Roma è annichilente. La coreografia della Via Crucis e della Messa Pasquale è stata maestosa. Ma soprattutto ci ha ricordato che i successi economici, per quanto vitali, di fronte all’Eternità dell’Urbe sono poca cosa. Basta un virus e spariscono. Mentre il Colonnato, fonte di scandalo e di scisma, si erge impavido di fronte alle tenebre, alla piaga, al tempo. E vince. Vince perché la pietra, in alcuni momenti altamente simbolici, batte il vetrocemento. È stata una Pasqua di silenzio, come ha correttamente ricordato il Cardinale. E nel silenzio dell’Eternità la Milano da bere è destinata a soccombere.
Non è tutto perduto. Ieri in quasi ogni chat, in svariati gruppi Facebook e su qualsiasi altro media frequentato da cinquantenni si è propagato un incendio. Il calendario delle riaperture. Sembravano le voci incredibili durante la Corazzata Potemkin di Fantozzi. L’Italia che stravince contro l’Inghilterra è stata sostituita dalla possibilità di tornare a lavorare. Di riaprire. Di ridare un senso alla propria esistenza. L’ansia che batte la paura. La vita che vince sulla prudenza. Non credo ci sia da dire che non c’è nulla di vero in quei messaggi: non sono indiscrezioni, sono bufale. Però incarnano un sentimento: la gente non la tieni più. Lo sa bene anche Zaia, che annuncia come il lock down sia, sostanzialmente, finito. In Veneto, quanto meno. Ma pure qua non pare goda di grande vitalità.
Per tradizione, a Pasqua anche a Milano alcuni negozi chiudono. Supermercati, per la precisione. Oggi hanno riaperto, ma non tutti e non tutto il giorno. Il problema sono le file per il pane. Sembra di essere tornati ai tempi del razionamento. Il bene scarso è lo spazio. Ricordo ancora quando il problema principale della gente era l’apertura domenicale di grandi strutture di vendita, mentre i piccoli negozi di vicinato soffrivano. Ecco, oggi le grandi strutture si scoprono troppo piccole. E la chiusura festiva allunga file già sterminate. E si creano nuovi rituali, come ad esempio la caccia alla consegna. Uno sport di gruppo in cui qualche centinaio di clienti prova a trovare un corriere che ti porti la spesa. Si inizia a mezzanotte. E si finisce, di norma sconfortati, a mezzanotte e cinque.
Il resto sono fattorini con il cibo per asporto. Una cosa che si dà per scontata, finché qualcuno da qualche altre parte d’Italia (Napoli, ad esempio), non ti racconta che non è un diritto universale. Allora anche una pizza diventa un grande successo culinario. Per il resto l’immagine che rimane è Bocelli che canta Amazing Grace nel Duomo vuoto. Perché Milano è sempre Milano, ed in una liturgia di qualche ora come quella Pasquale non trova uno spunto accettabile che sia uno, decidendo di ricorrere alla musica protestante. Ma internazionale. Quindi più pregiata per definizione. E la fa sua con assoluta noncuranza, unendolo alla propria storia millenaria, come se fosse sempre stato là.
Che poi, se proprio non ci vogliamo flagellare del tutto, è segno di vera grandezza. Anche nel momento più buio, decidiamo di restare coerenti con la nostra storia: poche parole, assimilazione e voglia di lavorare così forte da credere a qualsiasi cosa pur di riprendere. Ed alla fine si ripartirà da qui, io penso: senza code in uscita (5% di multe per mancata giustificazione dell’uscita), con la gente chiusa in casa a covare un’energia sempre maggiore. Pronta ad esplodere appena gli verrà consentito. Cristo è risorto ieri, ma risorgerà ancora con la nostra città appena ci consentiranno di togliere il masso che sigilla le nostre vite nel sepolcro della quarantena. Questa la promessa di ieri. Vedremo domani cosa ci porterà.