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Della singolare attualità della Regola di San Benedetto/2

by Luigi Gravagnuolo
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Benedetto abbazia

qui son li frati miei che dentro ai chiostri
fermar li piedi e tennero il cor saldo

Dante, D. C., Par., XXII, 50-51

Montecassino 535 dC

535 d.C., al confine tra le attuali Lazio e Campania.

Era in corso la guerra greco-gotica tra le truppe bizantine guidate dal generale Belisario, i Goti e piccole sacche di resistenza degli autoctoni tardo-romani. La violenza dilagava.

Già solo questa sarebbe stata ragione più che sufficiente per fondare un monastero in altura, in luogo non facilmente attaccabile da truppe regolari o da sbandati e banditi, che pure non scarseggiavano. Così come era doveroso da parte del maestro comandare agli ospiti del monastero di non uscire dal recinto del cenobio, neanche per chiedere l’elemosina. Fuori di esso i rischi erano smisurati e Benedetto teneva alla sicurezza dei suoi monaci; i quali, non potendo uscire neanche per le questue, avrebbero dovuto conseguentemente e necessariamente auto-produrre il proprio sostentamento.

Ma c’era una ragione di più per esigere dai monaci una rigorosa stabilitas.

Il legislatore Benedetto teneva alla salute corporale dei singoli e dell’intera comunità monastica; se fossero stati contagiati da malattie letali, sarebbero morti tutti e lo stesso progetto monastico si sarebbe estinto con essi.  Proprio in quegli anni – dopo i secoli della peste antonina(1), dieci milioni di morti – cominciava una delle più gravi pestilenze della storia del Mediterraneo, passata alla storia come la peste giustinianea. Gli storici stimano tra i cinquanta e i cento milioni i morti a sua causa durante i secoli VI-VIII d.C. in cui, a varie ondate, essa si ripresentò. Le truppe bizantine di Belisario, una cui parte era giunta nel nostro Mezzogiorno via Egitto – dove quella epidemia aveva avuto origine –  l’avevano portata anche nella nostra penisola(2).

C. Hugh Lawrence, riferendosi a quegli anni parla di una popolazione romana ‘impoverita e umiliata sotto il regime dei barbari, e ulteriormente provata dalla peste e dalla breve reconquista di Giustiniano’(3).

Insomma, ai tempi e nei luoghi della Regola, la peste era una realtà concreta, non un’allegoria. Leggiamo dunque  alla luce di questo contesto le prescrizioni della RSB, in particolare soffermiamoci sulle metodologie del reclutamento dei monaci: sono di singolare attualità.

Oggi ci stiamo abituando a termini propri dell’organizzazione sanitaria. Triage, ad esempio, è il luogo di smistamento di un malato all’arrivo in un ospedale. Sottoposto ad una prima diagnosi, il paziente viene quindi assegnato ad un reparto o ad un altro. Col cornavirus Sars-CoV-2 dilagante, gli ospedali sono stati attrezzati con delle tende al loro ingresso, dette di pre-triage. Per evitare che un eventuale affetto dalla Covid-19 porti l’infezione nel nosocomio, il paziente viene prima visitato in queste tende e, se risulta contagiato dal virus, viene smistato in ospedali Covid-dedicati o in reparti logisticamente ben distanti dal resto dell’ospedale.

Il reclutamento di un nuovo monaco secondo S.Benedetto avviene secondo metodologie analoghe. Scrive Lawrence: <<Al postulante non era concesso di entrare facilmente in monastero; doveva perseverare nella sua richiesta per quattro o cinque giorni prima che le porte gli venissero aperte, e dopo doveva completare un anno di probandato come novizio>>(4). San Benedetto precisa che, passati i quattro cinque giorni all’esterno del monastero, al postulante persistente nella richiesta fosse concesso di entrarvi, ma doveva restare per ulteriori  <<pochi giorni nella foresteria>>(5). Il noviziato si sarebbe infine svolto in un’ala del monastero logisticamente distante dal cenobio dei monaci regolari.

  1. Lorenzo Sena non esita a definirla una vera e propria ‘quarantena’. I postulanti <<… una volta ammessi, erano obbligati a restare come in quarantena per un periodo più o meno lungo perché riflettessero sulla serietà della propria vocazione e si abituassero al nuovo genere di vita>>(6).

Lo stesso Sena dice che S. Benedetto, sia pure in modo originale, adottò lo schema di reclutamento proprio di Cassiano e del monachesimo d’Egitto, per i quali gli aspiranti monaci  <<… si facevano entrare e venivano spogliati di tutto il denaro e dei loro abiti, sostituendovi quelli del monastero; però con tale “vestizione” non erano ancora incorporati alla comunità, ma venivano affidati all’ “anziano” che sovrintendeva alla foresteria, e per un anno intero aiutavano a servire gli ospiti, esercitandosi nell’umiltà  e nella pazienza; infine passavano a far parte di una decania ed erano candidati ormai membri della comunità cenobitica e ricevevano una formazione specifica (Inst.4,3-7)>>(7).

Dunque il postulante veniva prudenzialmente tenuto qualche giorno fuori del monastero, come in una sorta di pretriage(8). Una volta accertatisi delle sue condizioni fisiche e della genuinità delle motivazioni spirituali, veniva ripulito, svestito dei suoi panni mondani e rivestito con quelli del cenobio destinati ai novizi. Dopo due mesi gli si chiedeva con fermezza se accettava di stabilirsi in quel cenobio e di non uscirne più per tutta la vita: “Se prometterà d’essere perseverante nella sua stabilità, dopo che sono passati due mesi gli si legga per ordine questa Regola e gli s dica: ‘Ecco la legge sotto la quale vuoi militare; se puoi osservarla, entra; se non puoi, va’ pure via liberamente’“(9)

La casa del Signore si sarebbe quindi costituita come una microsocietà autarchica, autogestita e fondata su regole organizzative ben definite: <<Ogni monaco aveva la sua funzione nell’espletamento di tutti i compiti che una cittadella autosufficiente o quasi richiedeva: la stabilitas monastica aveva avuto la sua sanzione anche economica, definitiva nella volontà degli organizzatori>>(10).

Nelle mura sacre il monaco sarebbe stato formato spiritualmente e protetto dai peccati, dai nemici, dalla fame e dalle pestilenze(11). Sarebbe stato anche curato, qualora si fosse ammalato.

Note

(1) In genere gli storici delimitano la cronologia di quella pestilenza a soli quindici anni, dal 165 al 180 dC,  ma il numero dei deceduti a sua causa lascia pensare ad una sua persistenza endemica durata oltre un secolo, dopo la fase epidemica descritta da Galeno. Va aggiunto altresì che nel lessico latino, pestis e plaga indicano genericamente un morbo infettivo e letale. Nel caso della peste antonina oggi gli storici ritengono piuttosto che si sia trattato di un’epidemia di vaiolo.

(2) Paolo Diacono (720-799 dC), che descrisse quella peste nell’VIII° nell’ambito della sua celebre Historia Longobardorum, nel proemio dedicato all’encomio del Santo fondatore del Monastero di Monte Cassino, luogo dove egli soggiornava, racconta: <<In quello stesso tempo anche il nostro beato padre Benedetto splendette per i meriti della sua straordinaria vita e le virtù apostoliche… La morte iniqua è celata, ma … lievi verghe chiudono fuori la peste che va errando>> (cap. I, 26). 

(3) C.H. Lawrence, Il monachesimo medievale.

(4) Ivi

(5) RB, 58, 4.

(6) Sena, Appunti sulla Regola di S. Benedetto, pag. 380.

(7) Ivi, pag. 381

(8) Lo schema-tipo di un monastero benedettino,  sopra riportato, illustra come gli ambienti della foresteria e del noviziato fossero distanti dai dormitori dei monaci regolari. Anche in chiesa e nei refettori, gli ospiti ed i novizi avrebbero occupato spazi distanti dal coro dei monaci.

(9) RB, 58, 9-10; sott. mia. La Regola doveva essere letta per ordine al novizio di nuovo dopo il sesto mese ed ancora dopo altri quattro mesi; un anno in tutto. A questo punto il novizio era pronto a diventare monaco; vincolato al rispetto dell’intera Regola ovviamente, ma è il caso qui di sottolineare come in essa la promessa di stabilitas fosse principio cardinale. <<Contro il disordine dei monaci girovaghi (RB.1,10-11), contro la “in-stabilitas” lamentata da Cassiano (Inst.7,9), SB vuole come una delle sue caratteristiche una stabilità di luogo e di famiglia che aiuta a superare la instabilità del cuore>> (Sena, op. cit., pag. 384).

(10) Vito Fumagalli, Monachesimo cristiano.

(11) Sarebbe stato anche curato, qualora si fosse ammalato, <<… i grandi orti alimentari e farmaceutici ebbero origine dalla fusione tra detta attività e la conoscenza dei principî teorici dell’agricoltura>>  ivi.