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Le misure universalistiche del ministro Provenzano

by Luca Rampazzo
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Due giorni fa il Ministro per il Sud e la coesione territoriale Giuseppe Provenzano ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera su un tema molto spinoso: quello degli aiuti alle fasce più deboli della popolazione in tempo di Coronavirus. Tra le altre, c’è stata questa domanda, con annessa risposta.

Molti a Sud lavoravano in nero e oggi stanno perdendo il loro reddito. Come si aiutano?

“Inutile nasconderselo, l’economia meridionale ha una vasta zona grigia di sommerso che ha riflessi anche sull’economia legale. E le misure che il governo ha messo in campo fin qui hanno privilegiato l’emerso, com’era inevitabile. Ma se la crisi si prolunga dobbiamo prendere misure universalistiche per raggiungere anche le fasce sociali più vulnerabili: le famiglie numerose, oltre a chi lavorava in nero. Non basta la cassa integrazione in deroga per gli artigiani”.

Una considerazione preliminare. Questa risposta ha innescato molte polemiche, tanto da spingere Provenzano a rettificare. Della serie: il lavoro nero è una piaga sociale ma non si batte solo con la repressione. Noi, a differenza di altri, non abbiamo mai pensato che il Ministro Provenzano intendesse altro da questo. Ciononostante, la sua idea ci appare singolare.

Di norma il lavoratore in nero, almeno come lo consideriamo noi, è formalmente un disoccupato. O quanto meno un inoccupato. Una persona che si qualifica, quanto meno formalmente, per il Reddito di Cittadinanza. Pur ammettendo che non lo abbia ancora richiesto, cosa gli impedirebbe di farlo ora?

Lascia poi stupiti il riferimento alle famiglie numerose. Certo, il Governo non ha previsto alcuna misura particolare per loro. Anzi, i provvedimenti finora emanati (bonus babysitter e permessi e congedi straordinari) mal si attagliano a questi soggetti. Il bonus impatta meno all’aumentare dei bambini. I congedi sono meno sentiti se uno dei due coniugi è dedicato alla cura della famiglia. Ma perché accostare le due categorie? Sono molto diverse tra loro.

Vi risparmieremo la retorica legalitaria, andiamo al sodo. Se la quarantena ha fatto chiudere l’attività (illegale), avremo persone in grave difficoltà economica. Se l’attività (sempre illegale) prosegue, avremo gente in giro in barba ai divieti. Ecco, sia che soffrano, sia che prosperino, queste persone vanno tolte dalla strada. E se i governatori ed i sindaci sceriffi falliscono, ci può provare il Governo. Come? Pagandoli. Una sorta di reddito d’onore: se non lasci il divano ti pago la giornata. Se ti trovo in strada ti stango. E non hai più alibi. Se letta in quest’ottica la cosa comincia ad avere un senso. Un senso che, però, non perde alcune connotazioni negative.

Se dai soldi (aggiuntivi rispetto al Reddito di Cittadinanza, evidentemente) rischi di darli anche a chi, quel lavoro in nero, non lo ha perso. D’altronde come fai a sapere chi è rimasto disoccupato da un lavoro in nero? Gli fai firmare un’autodichiarazione incriminante ed estremamente pericolosa? Sono soldi che devi dare a tutti.

E nei tutti non si può fingere che non ci sarà anche chi, presi i soldi, scenderà dabbasso a riprendere a fare ciò che faceva prima. È questo il problema della misura così come ventilata: che non si capisce dove voglia andare a parare.

Un’avvertenza: noi, ovviamente, abbiamo escluso che questa sia una mossa propagandistica. Non con i soldi dell’emergenza.