La retorica sembra la cifra predominante quando si parla di Mezzogiorno: il Paese sarà ciò che il Sud sarà, il Mezzogiorno come opportunità da cogliere, il Sud come motore interno dello sviluppo nazionale, il rilievo dell’interdipendenza Nord-Sud, gli investimenti pubblici proporzionali alla popolazione meridionale, la nuova emigrazione giovanile come vera emergenza.
Siamo talmente abituati ai Piani e ai Patti per il Sud: SVIMEZ, Confindustria – SRM, Intesa SanPaolo, che qualche scetticismo sorge spontaneo; visto che, a vario titolo, la questione Mezzogiorno è nei programmi di tutti i governi come di quasi tutte le forze politiche, ma resta insoluta.
Ho letto con attenzione tutte le 55 slide del “Piano Sud 2030: Sviluppo e Coesione per l’Italia” presentato a Gioia Tauro proprio nel giorno di San Valentino, la festa degli innamorati. Che sia questa volta una promessa d’amore sincero, creativo e duraturo? Lo scopriremo solo vivendo, avrebbe cantato il famoso cantautore degli anni ’80. I “Prossimi Passi…” Sono calendarizzati nel mentre nell’ultima slide.
La prima cosa che sorprende è la sommatoria delle risorse disponibili: 123 miliardi di euro in dieci anni; risorse solo stimate, di fonte sicura ma non di fatto acquisite. Un Piano “mission oriented” che si mantiene alle strette osservanze dell’Agenda ONU 2030 ed il Green New Deal UE, Bilancio pluriennale UE 2021-2027. Questa internazionalizzazione è un valore aggiunto, ma bisogna verificare che le “potenzialità” enunciate possano poi trasformarsi in “energia cinetica e lavoro”, come direbbero i principi della Termodinamica!
Sappiamo tutti che le risorse disponibili per il Mezzogiorno ce ne sono tante, ed aggiungerne qualche altra sulla carta non è poi così difficile.
Sarebbe importante riuscire a spenderle, avere cioè la capacità di progettazione e l’efficienza della pubblica amministrazione necessarie per trasformare quei numeri in fatti: da idee a definizione, sviluppo, fino ad approntare progetti cantierabili.
Non basta, in altri termini, essere in assoluto il migliore autore di piani per il Sud, occorre avere una visione del futuro e bisogna poter contare su una governabilità ed una stabilità politica, che ahimè latitano, per poter percorrere la strada che si intende percorrere.
L’ultimo rapporto della Commissione UE racconta che restiamo fanalino di coda nella zona euro con un +0,3%. Questa stagnazione, che trae le origini oramai da diversi decenni, non promette niente di buono per il Mezzogiorno (anche se oggi esistono più Mezzogiorno, non uno solo come un tempo) che resta il territorio più stagnante del Paese.
Il piano proposto somiglia molto, dispiace dirlo, ad un “album di famiglia” dove si raccoglie di tutto e di più; recepisce tutte le iniziative, buoni propositi e percorsi già annunciati, avviati e poi rimasti nel vago. Una raccolta di una serie di slide, prodotte magari per altre circostanze e di sicuro attrattive, ma orientata alla propaganda con il fine di colpire l’immaginario collettivo per un governo nato per produrre fatti ma che è costretto a fare del rinvio e/o dell’immobilismo la sua cifra identitaria. In perfetta continuità con i precedenti.
L’impegno di destinare il 34% degli investimenti pubblici in conto capitale al Sud, in base alla percentuale demografica nazionale, è ampiamente condivisibile poiché in 10 anni la spesa per gli investimenti ordinari della PA nel Mezzogiorno è più che dimezzata.
Ogni euro investito in opere pubbliche al Sud attiva 0,4 euro di domanda di beni e servizi nel Centro-Nord (fonte: SVIMEZ). Un incremento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari all’1 per cento del suo PIL per un decennio, avrebbe effetti espansivi significativi per l’intera economia italiana (fonte: Banca d’Italia).
Se però la contrazione demografica dovuta alla nuova emigrazione continuerà, andremmo incontro al paradosso beffardo che anche la quota di investimenti riservati calerà di conseguenza.
Pagina dopo pagina, ecco così: un Sud rivolto ai giovani; Scuole aperte tutto il giorno; un Sud connesso per rompere l’isolamento; Fondo infrastrutture per i Comuni medi e piccoli; il Green deal per il Sud; il “Reddito energetico” per le Famiglie; il cantiere Taranto attraverso una quota del “Just Transition Fund” previsto dal new deal UE; un Sud frontiera dell’Innovazione; il Credito d’Imposta per Ricerca & Sviluppo al Sud; un Sud aperto al Mondo nel Mediterraneo; un incentivo all’Occupazione Femminile, il Cresci al Sud per i Giovani e le PMI; Metodo cooperativo di attuazione Amministrativa rafforzata; Rilancio strategico delle Aree Interne; Rigenerazione dei Contesti Urbani e dei Centri storici; Progetti bandiera con Metodo del Partenariato Attivo.
Il Piano precisa alla fine che è stato frutto di un percorso partecipato, di ben 30.000 Km: incontri e confronti con Commissione Europea, Presidenza del Consiglio, colleghi Ministri, parlamentari, partiti e movimenti, amministratori locali, parti economiche e sociali, mondo della cultura, Università e centri di ricerca, terzo settore, volontariato, cittadinanza attiva.
Evidentemente molte suole di scarpe sono state consumate. E ci sta!
Sarebbe stato più utile concentrarsi su pochi punti, invece di prendere mille impegni, proprio per la credibilità del piano stesso. Riconosco la buona volontà e l’effetto positivo di aver quantomeno prodotto un po’ di discussione fra i vari stakeholder. Anche perché sottolineo che nell’immaginario del Paese esiste più una questione settentrionale che meridionale; e questo senza peccare di campanilismo.
Converrebbe concentrarsi su due aspetti dirimenti: la crisi del sistema produttivo, oramai in regime di breakdown; il dilagare della povertà educativa. Sono le vere bombe sociali che deflagrando potrebbero staccare davvero il Mezzogiorno dal continente e farlo andare alla deriva nel Mediterraneo.