Ci sono Paesi europei, credeteci, dove i politici hanno anche il coraggio e la forza di dimettersi se il loro progetto si arena. E’ il caso della Germania e di Annegret Kramp-Karrenbauer. Al secolo, AKK. Acronimo, simpatico e spendibile, affibbiatole in epoca social per rendere più immediato e digeribile un nome troppo lungo. Nome che, in Italia, non dice molto al grande pubblico. Ma si tratta della delfina di Angela Merkel.
Non solo ha annunciato che non si candiderà alla carica di Cancelliere, alla scadenza del mandato della inossidabile (e a questo punto ancora insostituibile) Angela. Ma ha addirittura rassegnato le dimissioni da presidente della CDU, il partito democratico cristiano tedesco.
In prima analisi, il motivo di questa sorprendente decisione va ricercato nel trambusto politico per il risultato delle recenti elezioni in Turingia. Nel Land di Erfurt, infatti, è stato eletto presidente il liberale Thomas Kemmerich (dimessosi dopo 24 ore), grazie ai voti della CDU e della destra coriacea dell’AFD. Alternative für Deutschland. Una destra verso l’estrema destra, per così dire. Un risultato clamoroso che, a leggere la stampa filo governativa tedesca, ha gettato nel caos l’intera Germania.
Insieme alla stessa Merkel, la AKK aveva più volte ribadito che i cristiano-democratici non avrebbero mai collaborato con i sovranisti di Alternativa per la Germania. Ritenuti impresentabili, nonostante il notevole peso elettorale raggiunto. L’accordo, più o meno sottobanco, in Turingia fa pensare che AKK non tenesse le redini del partito.
Forse, però, c’è lo zampino della sempiterna Angela. La quale, subodorando la debolezza politica del suo successore, potrebbe aver deciso di passare oltre. Sta di fatto che la sua guida del partito è stata sempre messa in discussione dai dirigenti politici. Più volte ha dovuto porre la fiducia sulla sua persona, come all’ultimo congresso di Lipsia. Segno inequivocabile di una leadership mai consolidatasi.
Benché AKK non sia propriamente una nominata, anzi provenga da una solida carriera politica ed amministrativa, non è riuscita a ripulirsi dal marchio di erede designata, impressole al congresso di Amburgo del 2018. Ricordiamo che la CDU è ancora un partito nel senso tradizionale del termine, come esistevano in Italia fino al 1992. Nei quali i leader emergono per contrapposizione, per discontinuità o anche solo per semplice alternanza. La classe dirigente si forma partendo dal basso, facendo gavetta nei livelli amministrativi locali. Partiti dove le linee programmatiche vengono elaborate e discusse nei congressi. Dove i militanti eleggono quadri, dirigenti e leader. Il tentativo della Merkel di controllare la propria successione, pare non abbia dato i frutti sperati.
Chissà se la balena bianca tedesca resterà in buona salute, seppure sotto forme più moderne, stretta com’è tra una destra mai così forte dal secondo dopoguerra e le istanze ambientaliste e liberali.
Speriamo, anche per il nostro bene, che non si aprano per la Germania gli stessi scenari di estrema leggerezza, estemporaneità ed evanescenza politica che hanno caratterizzato la storia politica italiana negli ultimi trent’anni.