In occasione deli dieci anni di attività del Nest, (Napoli Teatro Est) è stata riproposta, il 17, 18 e 19 gennaio, una pièce dal titolo 12 baci sulla bocca. Di Mario Gelardi, per la regia di Giuseppe Miale Di Mauro, con Stefano Meglio, Francesco Di Leva e Andrea Vellotti.
La vicenda è ambientata a Napoli negli anni ’70. Emilio, un lavapiatti omosessuale, consapevole della propria diversità e di tutti i rischi che un’ammissione pubblica di essa comportava all’epoca, viene assunto nel ristorante di Antonio, nemico dichiarato di tutti i ricchioni. Emilio si invaghisce di Massimo, fratello del proprietario, che nasconde e non osa dichiarare la propria omosessualità, offrendosi una via di uscita con un matrimonio di comodo. Pur non uscendo mai allo scoperto, Emilio capisce il tormento di Massimo e la loro storia sboccerà. Quando la vicenda casualmente verrà alla luce, le conseguenze saranno devastanti.
I 12 baci del titolo sono i 12 mesi. Un intero anno di quel terribile decennio, quando la storia italiana fu segnata da attentati e stragi. A partire da Piazza della Loggia per finire all’omicidio di Pasolini. Le tappe di questo periodo di sangue sono segnalate dalla musica, che va dai Queen a Ranieri, ad Angela Luce. E da inserti vocali, come stralci del discorso del sindacalista Franco Castrezzati al momento dello scoppio della bomba in Piazza della Loggia o dell’orazione funebre di Moravia per Pasolini. Il tutto in una scena assolutamente spoglia, dove solo lo spostamento delle sedie segna il qui ed ora della vicenda.
Il perno della storia è Emilio, un superlativo De Leva, che sa bene quanto di pericoloso ci sia in quella relazione, avendo già vissuto sulla propria pelle la più bieca intolleranza e incomprensione. La sua recitazione è estremamente fisica. Balla, si muove, si approccia a Massimo con corpo ed anima. In questo rapporto che lentamente si snoda in tappe di avvicinamento e distrazione, di amore e repulsione da parte di Massimo, ha un ruolo visivamente determinante la danza che i due attori compiono sulla ribalta. Quasi una messa in scena di quella Danza di Matisse in cui i corpi in torsione assecondano il movimento rotatorio. Il dipinto che, nelle intenzioni dell’autore, rappresenta la gioia di vivere e la felicità della danza, qui nello spettacolo, dove la felicità è negata e si concentra nei pochi momenti di intimità nascosta dei protagonisti, la nudità rappresenta forse il ritorno ad una natura incolpevole, senza orpelli o false giustificazioni. I corpi nudi di De Leva e di Vellotti sono la rappresentazione non solo della forza dei corpi in scena, ma soprattutto del desiderio di essere se stessi, senza travestimenti.
Siamo negli anni ’70 e questo giustifica l’atteggiamento intollerante del fratello Antonio. Ma l’intento del testo è sicuramente quello di una riflessione sul presente, su quanto sia ancora intollerante la provincia nella quale vigono ancora le antiche leggi sociali che impediscono ad una coppia omo di venire alla luce.
Lo spettacolo è di grande presa. Il pubblico numeroso assiste con assoluta attenzione nel silenzio rumoroso di chi partecipa emotivamente al dramma messo in scena. E probabilmente si interroga su quegli anni, ma soprattutto su quanto ci sia ancora da fare per vincere l’intolleranza.