Mi sono soffermato più del previsto a Focesele, perché di tappe per le torri costiere ne ho fatte due, anzi tre, se ci mettiamo anche quella fatta apposta per una fumante frittura di anguille del Sele. Decido di riavviarmi ancora verso Sud, a caccia di torri. Parto quindi dalla stazioncina della Guardia Forestale nascosta tra il verde di pini ed eucaliptus diretto alla Torre pestana per eccellenza, dai Capaccesi detta ‘a Torre ‘e mare a Piest.
Appena arrivato sulla Laura – la strada litoranea che qui chiamano ancora così, non certo SP 175 come gracchia il mio navigatore – improvvisamente i ricordi rincorrono e affollano la mia mente. Erano i favolosi anni Sessanta e, appena ventenne, arrancavo su una ondeggiante Deux Chevaux Citroen, comprata usata. Una rara Due Cavalli dal tipico colore grigio originale francese. Una prelibatezza. A parte il colore – che ricordava quello di un topo di campagna francese inurbatosi a fare la zoccola a Napoli – quella macchina era un pezzo raro di cui andavo fiero. Pensate che aveva ancora in dotazione la manovella per far partire a mano il motore. E quando si viaggiava sembrava di andare in barca.
Questo tratto di strada, tratto estremo per chi arrivava dalla riva destra del Sele, non era ancora asfaltato. Era quindi pieno di avvallamenti e fossetti mal riparati. L’ideale pista di una Due Cavalli, cavolo! E qui in questa strada terrosa e polverosa incrociai un gruppo di cinque o sei ragazzi, un po’ più giovani di me, accovacciati sulla sede stradale. Tranquilli a chiacchierare, tanto non passava nessuno. Mi arrestai. Seguirono brevi convenevoli.
Ricordo ancora qualche nome: Gianni, Elpidio, Enzo, Bibi. Ah! Ecco il nome di quella fanciulla dagli occhi grandi e dolci di una cerbiatta. Mi colpirono al cuore quello sguardo e quel nome, che sembrava fatto apposta per lei. Poi, dopo aver fatto conoscenza con l’intero gruppetto – allora era naturale fermarsi per chiedere informazioni ai passanti – la salutai con particolare cordialità. Tutto qui. Era già tanto per i tempi. Ma il pensiero mi rimase vivo. Nel cuore e nel cervello. E tornai in quel posto che – per dirla trattenendo la volgarità – allora mi sembrava in fondo al mondo. Fui però fortunato. Quella cerbiatta mi è stata vicina per la vita.
Rassicuro il lettore che questa digressione privata non mi impedisce di portare a termine l’articolo sulla Torre di Paestum, che prende il nome ovviamente dal fatto che si trova davvero vicino alle mura di Paestum. Poche centinaia di metri dal tratto in cui la poderosa cinta muraria pestana – lunga circa cinque chilometri e tra le meglio conservate di tutta la Magna Grecia – disegna un angolo retto. Quello di Paestum è un impianto fortificato di tipo antico punteggiato da ben ventotto Torri di guardia.
Ma il nostro obiettivo è la Torre costiera, detta anche dai locali la Torre di mare perché è ubicata proprio davanti alla spiaggia di Licinella. Essa è architettonicamente a disegno troncoconico e in buone condizioni di conservazione perché, pur essendo in mano privata, non è stata adattata forzatamente ad esigenze residenziali. L’interno infatti è diviso in due ambienti sovrapposti, collegati però soltanto attraverso una scala rampante esterna in cemento armato. Non è il massimo, ma risulta di design gradevole. Storcete pure il naso!
Durante la Seconda guerra mondiale, in occasione dello sbarco a Salerno – che interessò le coste di Paestum – le truppe tedesche si difesero sparando con una mitragliatrice dalla sommità della Torre. Soltanto la scarsa mira dei cannoneggiamenti navali la risparmiò. Dalla guerra alla pace. Negli anni della contestazione, a fine Sessanta e poi nei Settanta del secolo scorso, la Torre fu abitata a lungo stagionalmente da una famiglia di fricchettoni dei Paesi Bassi. E la sera si spandeva pigramente nell’aria l’odore del fumo di marijuana. Dai cannoni di Guerra … ai cannoni di Pace. Meglio così.