Da Venezia giungono immagini sconvolgenti sulla catastrofica ondata di acqua alta che ha raggiunto una quota record sommergendo la città lagunare come non accadeva dal 1966.
Si parla di danni gravissimi alla basilica di San Marco, a Ca Pesaro e al teatro la Fenice. Come annunciato in conferenza stampa dal Sindaco, Luigi Brugnaro, “le stime dei danni sono molto ingenti. Parliamo di centinaia di milioni di euro”. E il Governatore Zaia a Mattino 5: “Abbiamo davanti una devastazione apocalittica e totale, ma non esagero con le parole, l’80% delle città è sott’acqua, danni inimmaginabili, paurosi”.
Il centro storico di Venezia ha un aspetto spettrale. La circolazione dei vaporetti è stata limitata agli imbarcaderi principali, mentre sono pochi i passanti, tra cui anche i turisti, che si avventurano tra le calli e i campi tutti ricoperti di acqua.
Il pensiero corre troppo facilmente al famigerato Mose (acronimo di Modulo sperimentale elettromeccanico), la soluzione idraulico/ingegneristica pensata tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 per preservare la laguna e la città di Venezia dalle maree devastanti sempre più ricorrenti. Il sistema consiste in una serie (quattro) di dighe colossali a scomparsa per tenere il mare fuori dalla laguna. La particolarità è che, per non turbare il paesaggio, il corpo d’opera è ancorato al fondo marino e dovrebbe emergere, per così dire, solo in condizioni particolari di marea. Altra particolarità, tutta italiana, anzi molto veneta a rileggere le cronache, è il costo davvero enorme sostenuto sinora. Si parla di 5,4 miliardi di euro e non è ancora finito. Probabilmente si arriverà, quando la parte meccanico/idraulica sarà pronta e collaudata, ad una cifra non lontana dai sette miliardi. Sempre che si trovi un sistema per bloccare il già avanzato arrugginimento di alcune cerniere sott’acqua.
Mose era il nome di un singolo cassone sperimentale costruito negli anni ’70. Ma il nome di quell’oggetto sperimentale era ricco di assonanze e richiamava Mosè che divise le acque del mar Rosso salvando il suo popolo dalla minaccia del cattivo faraone. La sigla piacque tantissimo e venne estesa a tutto il progetto. Tutta la storia del Mose è costellata di accrescitivi. Il Comitatone, il Progettone ecc.
Gli oltre 5 miliardi di euro finora spesi per questo giocattolone (che deve ancora dimostrare di saper funzionare), non sono stati donati dai ricchi industriali del lombardoveneto o dai grandi collezionisti d’arte nordamericani (tipo i Guggheneim) ma, giustamente, sborsati dallo Stato italiano attraverso la fiscalità generale. E va bene così. Venezia è un patrimonio prima di tutto dell’Italia. Va bene anche che venga dichiarato lo stato di emergenza. Però accanto alla solidarietà vera e spontanea, non di facciata, che umanamente proviamo. Accanto allo sgomento sincero di fronte a certe catastrofi. Accanto a tutto questo, una domanda si fa strada: ma come funziona? Autonomia regionale nel benessere e unità nazionale nelle calamità? E allora dopo il Faraone, dopo il Comitatone e dopo il Progettone, forse ci vorrebbe un bel Calcione (simbolico!) a tutti gli egoisti travestiti da autonomisti.
Comunque, forza Venezia!