L’assenza del Direttore Generale del Parco Archeologico di Pompei, prof. Massimo Osanna, protrattasi per oltre quattro mesi durante l’attesa della riconferma da parte del Ministro Bonisoli, ha indubbiamente segnato un calo di attenzione sul Grande Progetto Pompei. Le danze mediatiche stanno però riprendendo.
A nostro modesto avviso la pausa non è stato un fatto in sé negativo perché ha dato modo un po’ a tutti i protagonisti di riflettere sui dati, peraltro non ancora finali e definitivi, del bilancio del Progetto. O almeno avrebbe dovuto produrre un tale effetto positivo.
Il tempo avrebbe potuto dar modo alla Buffer Zone di conformarsi meglio, ad esempio, con le proposte che più da vicino interessano quella che rimane la protagonista principale del Grande Progetto Pompei, cioè la Città di Pompei.
Essa – non dimentichiamolo – accoglie nel proprio territorio comunale gli Scavi di Pompei nella loro interezza di Città antica riscoperta a portata alla luce dalla metà del 1700, come dice la Storiografia Ufficiale togata. Non è proprio così. Anzi è tutt’altro che così. Ma non è questo il luogo e l’occasione per discuterne.
Ribadiamo però il ruolo di protagonista spettante alla Città di Pompei, quella viva, che ospita nel proprio territorio comunale anche il Parco Archeologico di Pompei nella sua interezza di area di valore archeologico, monumentale e paesaggistico.
Esso ha una estensione pari a circa un quarto del territorio comunale – per un’evidente errata previsione della legge guazzabuglio dell’ex ministro Franceschini – e lascia i tre quarti del territorio alla competenza di un’altra Soprintendenza, quella mista della provincia di Napoli. Una follia amministrativa, un pastrocchio geo-politico che genera riflessi negativi quotidiani nella tutela del territorio.
Recente esempio di quanto affermiamo è la demolizione abusiva, perpetrata sul territorio comunale pompeiano, della Masseria seicentesca Spinelli-Piccolomini d’Aragona.
Ci consola soltanto sapere che un’Associazione ambientalista a carattere nazionale si è interessata vivamente alla questione. Dobbiamo però segnalare al lettore che questo monumento sei-settecentesco ormai quasi totalmente distrutto è ubicato nel cuore dell’area settentrionale del territorio comunale pompeiano. Ma nel contempo esso risulta estremamente “periferico” rispetto all’area di competenza della Soprintendenza mista provinciale napoletana. Eppure è situato accanto a quella che sembra dover essere l’area di sviluppo prossimo venturo degli scavi di Pompei. L’area della Civita Giuliana, a Nord degli Scavi, ma nel cuore della Buffer Zone UNESCO.
Siamo alla schizofrenia gestionale. Non c’è altro o di più da dire.
D’altra parte, la stessa Città di Pompei, quella viva, sembra essere stata esclusa dalle previsioni della Buffer Zone UNESCO che si “fermano” sostanzialmente ben prima del centro urbano moderno. Sulla stampa e sui social girano le notizie e i dati sul resuscitato HUB Turistico (deo gratias…) e anche altre soluzioni molto impegnative per il territorio comunale nella fascia urbana frontistante l’area meridionale degli Scavi.
Ci sarà bisogno di una variante urbanistica. Non vorremmo che si verificasse un’altra questione del tipo “Progetto EAV”. Ci conforta il fatto che là non ci sono ostaggi da strumentalizzare come nel caso della Casa Borrelli. Ma si muovono interessi molto più grandi del progetto EAV nella fascia turistica degli Scavi frontistante la pineta demaniale. Quest’ultima purtroppo appare destinata a divenire una “ex” pineta, essendo già oggi rinsecchita per circa la metà. Da notizie provenienti da fonti ufficiali del Parco sembra che una sorta di “xylella fastidiosa” che attacca i pini mediterranei, stia facendo strage di quelli piantumati nel dopoguerra da Amedeo Maiuri.
Sapere cosa stia facendo il Parco interesserebbe tutti. E’ troppo chiederlo?
Un altro dato che sarebbe necessario sapere è quello relativo all’effettiva conclusione del Grande Progetto Pompei e alla chiusura del “vulnus” rappresentato dai cantieri rimasti per qualche motivo ancora non definitivamente “chiusi”, vuoi per le riserve non definite, vuoi per i collaudi non effettuati per oggettivi motivi ostativi. Com’è nel caso dell’edificio improvvidamente realizzato a Porta di Stabia. Quale sarà il suo destino?
E a tale proposito ci sorprende la decisione del Parco – che appare improvvida quasi quanto quella di Porta di Stabia, inarrivabile in sé – di realizzare nel pieno dell’angusta area archeologica di Oplonti, in contiguità con la ricostruita Villa di Poppea, un edificio lungo circa cinquanta metri, largo oltre una decina e alto poco meno. Dovrebbe servire da ingresso, biglietteria, uffici e depositi.
Facendo un calcolo semplice e rapido sulla punta del naso si arriva a circa cinquemila metri cubi. Insomma, s’intende scaricare nel cuore urbano di Torre Annunziata – già di suo caotico e “denso” oltre la norma – un contenitore cementizio di cinquemila metri cubi. Oltretutto, in un’area topograficamente complicata da dislivelli notevoli che sono allo stato di difficile governo a causa delle strade strette che connotano i luoghi? Perché non stabilire intese con il comune oplontino e con i ministeri competenti per il riuso delle tante architetture dismesse, senza farne di nuove, limitandosi a ottimizzare l’ingresso alla Villa? E perché operare in un’area estremamente “fertile” dal punto di vista archeologico? E che diavolo!! E’ proprio da quell’area che si è tratta la grandiosa Villa di Poppea!!
Una villa monumentale che è già condannata a comprimere la sua grandiosità spaziale in angusti panorami urbani!! Ma quelli esistenti sono almeno panorami urbani che trasudano autenticità. Ad essi il Parco vuole aggiungere un parallelepipedo cementizio graziato delle sue sconcezze con la foglia di fico di un rivestimento superficiale materico fine a se stesso.
Eppure la Soprintendenza risulta popolata da architetti, storici dell’arte e archeologi in quantità che dettano regole faticose alle iniziative private simili… Che altro dire: accomodatevi pure!
Ma ricordate che non siete i padroni di Oplonti o di Pompei, ma solo i loro gestori provvisori. E ospiti temporanei dei territori che vi accolgono. Fortunatamente.