Mi piacerebbe che il funerale di Camilleri fosse nella forma del funerale gentilizio della Roma repubblicana.
La cerimonia era l’occasione per celebrare non solo il defunto ma l’intera gens. Gli antenati erano rievocati in una singolare ed impressionante cerimonia: le imagines, cioè le maschere di cera ricavate dal volto dei defunti di famiglia e conservate gelosamente in casa. In occasione del funerale di un membro di essa, venivano fatte indossare da attori che formavano un corteo funebre, precedendo il feretro. Lo storico Polibio, che era greco e quindi di formazione culturale diversa, lo descrive come uno spettacolo impressionante. Giunto al foro il corteo, accompagnato dai lamenti, le neniae, intonate da apposite professioniste, le praeficae, si fermava ed il figlio del defunto o un parente o un amico pronunciava la laudatio funebris. Testo che poi veniva conservato negli archivi di famiglia. In esso si ricordavano tra gli altri meriti, le virtù civiche, la virtus, la gravitas, la pietas, la fides, l’auctoritas che costituiranno nel tempo quel mos maiorum in cui il civis romanus si riconosceva come uomo e cittadino.
Ecco, una cerimonia di tal genere mi sarebbe sembrata appropriata per Andrea Camilleri. Quante maschere di eroi, da lui conosciuti e con cui aveva avuto uno stretto rapporto di amicizia e di comunanza intellettuale, avrebbero potuto sfilare. Ungaretti, Quasimodo, Sciascia, Vasquez Montalban, Flaiano, per citare alcuni intellettuali. Politici e giudici impegnati nella lotta alla mafia e in genere al malaffare, attori, registi, i tanti da lui incontrati in una vita ricca e densa di soddisfazioni, vissuta fino alla fine con forza e voglia di non arrendersi al declino. Una vecchiaia operosa come tutti la vorremmo.
Chi dovesse celebrarne la laudatio avrebbe un ricchissimo materiale a cui attingere. La carriera in Rai, a lui si devono gli sceneggiati di Maigret, l’attività come insegnante al Centro sperimentale di cinematografia, l’attività di scrittore (qualcuno non conosce Montalbano?) e di linguista con l’invenzione del vigatese, in cui alla struttura in lingua italiana si mescolano i termini tratti non dalla letteratura alta ma dai vari dialetti siciliani comunemente parlati. Le esperienze come attore e drammaturgo ed infine l’impegno politico, che non è consistito nella sola militanza quanto piuttosto in uno sguardo lucido sulle miserie dell’attuale Italietta.
I giudizi dettati dalla pietas, dalla gravitas e dall’auctoritas lo hanno, specie negli ultimi tempi, identificato con il grande vecchio saggio, qualcuno a cui potersi richiamare in un mondo alla deriva. Sentiamo il bisogno di persone carismatiche che sappiano consigliarci o semplicemente aprirci gli occhi, leggendo il presente con l’esperienza del passato. E Camilleri era uno di questi, forse l’ultimo, ormai, del secolo breve.
Sarebbe stata un’eccezionale laudatio anche se forse il nostro autore non avrebbe gradito.
“Se potessi, vorrei finire la mia carriera seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio ‘cunto’, passare tra il pubblico con la coppola in mano”.