Ma chesti pummarole nun sanno propri‘e niente! So’ tutt’acqua!! Quante volte avremo pronunciato o sentito esclamare queste parole negli ultimi anni. E – diciamoci la verità tutta intera – ci eravamo ormai anche rassegnati a condire insalate di pummarole tutt’acqua e senza sapore, sia pure un po’ smoccolando contro il supermercato che ce le aveva propinate. Poi tentavamo l’acquisto di pomodorini belli rossi dal negozietto di verdure all’angolo, evitando accuratamente quelli che scimmiottavano i supermercati, con tutte le spaselle aggressivamente collocate sul marciapiede a far bella mostra di sé. Un bell’effetto solo alla vista, pensavamo in cuor nostro, e tiravamo diritti verso quel negozietto di quella signora anziana che… Che intanto aveva serrato i battenti. E il negozietto era stato sostituito da una rutilante vetrina di agenzia di scommesse o simili.
Alla fine del giro, sconsolati tornavamo a casa a farci quattro spaghetti al pomodoro fresco e basilico. Ma essi ci consolavano soltanto un poco. Non troppo. Giusto quel tanto che si doveva all’evaporazione dell’acqua in eccesso che aveva un po’ ristretto il sugo. Con il ragù, ancora ancora potevamo rimediare aggiungendo senza avarizia un po’ di estratto di pomodoro, il mazzetto e tutto il ben di Dio che ci dava il macellaio di fiducia. Ma… insomma quel sapore di pomodoro di una volta lo andavamo cercando, senza trovarlo se non qualche volta, inaspettatamente. Soprattutto se, per caso, per puro caso, avevamo acquistato un piennolo, a peso d’oro, ça va sans dire. Oppure se ci eravamo abbuscati un po’ di ortaggi in campagna, compresa qualche ‘nzerta di pummarole.
Ma più che altro l’acquisto ci dava l’occasione di sfoggiare un po’ di cultura con gli amici, ricordandogli che il termine ‘nzerta della nostra lingua napoletana diventa “serto” in lingua italiana e che entrambi i termini derivano dal latino “sertum”, che significa ghirlanda e quindi anche grappolo. Ma la soddisfazione dello sfoggio culturale era poca cosa, diciamocela tutta tra di noi. Quello che ci dava più soddisfazione era il fatto di avere ritrovato improvvisamente “quel” sapore di pomodoro che speravamo di incontrare, prima o poi, come un vecchio amico perso di vista. Insomma, era una vecchia festa della tradizione, ritrovata per la bocca. Un’emozione per le papille gustative che parevano tutte in piedi ad acclamare l’evento. Poi tutto finiva lì e si ricominciava daccapo, alla ricerca del pomodoro perduto.
Ma non è finita qui, perché in questi giorni ci giunge da oltreoceano una grande notizia. Udite! Udite! Alcuni scienziati annunciano che il problema del pomodoro dal sapore smarrito è stato risolto. E’ un problema genetico, derivante dalla mancanza di un gene specifico che è andato perso negli ultimi anni. Il benemerito della scoperta è un biologo molecolare, il prof. James Giovannoni, che non a caso già dal cognome denuncia le sue origini italiane. E’ il destino della razza che si compie, vivaddio! Ma qui ridiventiamo seri davvero. Le ricerche condotte da Giovannoni sono state pubblicate dalla rivista scientifica Agricultural Research Service. Il biologo italoamericano ha mappato il genoma dei pomodori e, con la collaborazione del bioinformatico Zhangjun Fei, operante presso il Boyce Thompson Institute, è riuscito a ricostruire il pan-genoma del pomodoro coltivato e quello dei suoi antenati e parenti selvatici. Da cronista al lettore dico semplicemente che il pan-genoma è la mappa biologica dei geni di un organismo che caratterizza una singola varietà. Ma essa diventa poi un riferimento di ricerca per il resto delle specie. Nel caso del pomodoro, una solanacea, i due scienziati hanno dovuto mappare tutti i geni di ben 725 varietà di pomodori diversi, sia selvatici che coltivati. I geni individuati – precedentemente non studiati e documentati – son ben oltre i cinquemila, e tra essi è stato individuato quello specifico del sapore.
Ovviamente rimandiamo il lettore ai dovuti approfondimenti se vuole capirci più di noi. Qui ci limitiamo a concludere che i pomodori coltivati oggi sono in possesso di una base genetica ristretta, cioè carente di tutta una serie di caratteristiche genetiche che lo rendono un po’ solo lontano parente del pomodoro di qualche decennio fa. Le variazioni sono state elaborate presso i laboratori delle industrie alimentari un po’ in tutto il mondo cosiddetto evoluto nell’arco delle attività colturali delle diverse varietà di pomodori. Nel corso di questi ultimi decenni quindi sono stati immessi sul mercato pomodori selezionati con caratteristiche riguardanti soprattutto la resa per ettaro, la durata della conservazione e la resistenza alle malattie. Il risultato è stato il prodotto sciapo che mettiamo sotto i denti ogni giorno. Ma la notizia più bella è che, grazie a queste analisi genetiche specifiche, potremo presto vedere aumentare il sapore dei pomodori acquistati in negozio. E le nostre papille gustative con il ragù domenicale potranno esultare come quando segna il Napoli al San Paolo.