Fra qualche tempo, terminate le inevitabili schermaglie di assestamento, cercheremo di analizzare le conseguenze, se ci saranno, che i risultati delle recenti elezioni per il parlamento europeo potranno portare al mondo politico campano, soprattutto alla luce delle ormai prossime elezioni regionali.
Per ora volgiamo lo sguardo ai risultati negli altri paesi europei di peso (Germania e Francia), anche per capire con più precisione su quale forza potrà effettivamente contare in Europa il ciclone Matteo Salvini, che pare il vero vincitore in Italia. Perlomeno in termini numerici.
Cominciamo dalla Francia. Tutti paiono meravigliarsi del risultato portato a casa da Marine Le Pen con il Rassemblement National (ex Front National). Effettivamente ha guadagnato quasi 500.000 voti rispetto alle Europee del 2014, passando da 4,7 milioni a 5,2 milioni di voti. Il numero di deputati però si ferma a 23 (anzi uno in meno rispetto ai 24 ottenuti nel 2014) e quindi il peso assoluto nel Parlamento Europeo è pressoché invariato. Ma ha rafforzato la sua posizione di “primo partito” d’opposizione in Francia e forza di spicco del movimento nazionalista europeo (una bella contradizione in termini). Anche in vista del progetto, neanche troppo velato, di guidare una grande coalizione dei sovranisti al parlamento europeo – per il momento divisi in tre gruppi – riunendoli in una nuova alleanza il più allargata possibile. Paradossalmente, proprio l’allargamento alle altre compagini europee di medesima ispirazione garantirebbe una maggiore prospettiva al gruppo di Marine Le Pen, che nel corso dell’ultima legislatura ha brillato per la sua assenza e per una debolezza politica endemica visto che il gruppo parlamentare dagli iniziali 24 eurodeputati è diminuito sino a 15 per defezioni e dissapori interni.
Per il resto, contenimento delle perdite per En Marche! di Emmanuel Macron che conquista 21 seggi. Bene i Verdi con 12 seggi. In flessione la France Insoumise di Mélenchon che esce molto ridimensionata dal voto. Sempre più in crisi poi i Repubblicani e i Socialisti, con i due partiti che solo fino a qualche anno fa si contendevano l’Eliseo. Quasi spariti i comunisti che si fermano al 2,5% e che pertanto non eleggono alcun deputato. Vero e proprio flop per Alliance Jaune e The Patriots, entrambe riconducibili ai gilet gialli. A dimostrazione che protesta di pancia, se non incanalata in una proposta politica, alla prova dei fatti non si traduce in consenso elettorale.
Passiamo alla Germania. Il tramonto del cammino politico di Angela Merkel appare sempre più lungo. Seppur più sbiadita resta ancora la vera Cancelliera d’Europa, visto che all’orizzonte politico tedesco si stagliano figure minori che faticano a brillare di luce propria.
Le elezioni europee hanno fatto segnare infatti una battuta d’arresto nell’avanzata di Alternativa per la Germania (AfD). Con l’11 per cento dei voti, il partito fa un passo avanti rispetto al 2014 ma anche un passo indietro rispetto alle elezioni legislative, doveva aveva ottenuto il 12,6%. L’estrema destra tedesca resta ben lontana dalla soglia del 20 per cento indicata come obiettivo fattibile dal leader e capolista Jörg Meuthen alla fine dell’anno scorso. Troppe opacità, le probabili influenze del famoso scandalo Ibiza, i sempre presenti sospetti su donazioni russe al partito, hanno minato la credibilità di Meuthen e Guido Reil (secondo nella lista per le europee), che si sono auto marginalizzati dal dibattito politico tedesco attuale, più interessato al clima che all’immigrazione.
I popolari di Cdu/Csu al 29% e i socialdemocratici di Spd al 15,8% sono andati sostanzialmente benino. Ovvero, in termini numerici tengono botta, ma in termini politici l’alleanza rischia di sgretolarsi. Pare che la Merkel voglia aprire ai Verdi.
E infatti il vero botto lo hanno fatto i Verdi, che dopo anni di oblio sono tornati alla ribalta (effetto Greta?) diventando il secondo partito della Germania, sottraendo, secondo l’analisi dei flussi di voto elaborata da Ard, un milione di voti ciascuno ai democristiani della Cdu e alla Spd. Un risultato dovuto in particolare alla loro trasversalità: i Verdi tedeschi hanno infatti smesso di essere un riferimento solo per la sinistra ecologista, sposando da una linea fortemente europeista ma allo stesso tempo critica nei confronti dello status quo, dall’austerity nella UE alle politiche di governo della Grosse Koalition a Berlino.