Conosciamo il romanzo di Orwell, 1984, in cui il Grande Fratello sorveglia, attraverso i monitor, le vite degli altri, in una società distopica in cui ribellarsi è impossibile. Ma non tutti conoscono il romanzo di Margaret Atwood, I racconti dell’ancella, in cui si racconta di un’America fondamentalista dove le donne, le ancelle appunto, ricoperte da un mantello rosso, sono asservite all’uomo per scopi esclusivamente riproduttivi. “Noi esistiamo per scopi di procreazione […]. Noi siamo dei grembi con due gambe, nient’altro: sacri recipienti, calici ambulanti”. Altro romanzo distopico, dunque, ma non troppo se riflettiamo su quanto avvenuto nell’Alabama di oggi.
La governatrice Kay Ivey, ha firmato, il 16 maggio, la legge contro l’aborto, giàapprovata dal Congresso dello Stato americano.
Il provvedimento prevede un divieto quasi totale all’interruzione di gravidanza in tutta l’Alabama, anche nei casi di stupro e incesto. Dopo la ratifica, il testo entrerà in vigore fra sei mesi. La legge prevede che una donna possa abortire solo in presenza di un grave rischio per la sua salute o in caso di “anomalia letale” del feto. Al di fuori di questi casi, i medici che proveranno a praticare l’interruzione di gravidanza rischiano di essere condannati a 10 anni di carcere, che salgono a 99 nel caso in cui l’operazione vada a buon fine.
L’Alabama è uno Stato del Sud notoriamente molto conservatore, il disegno di legge è passato grazie ai voti di 25 repubblicani, tutti maschi. “Per i molti sostenitori di questo provvedimento – ha twittato la governatrice – questa legge serve a testimoniare in modo possente la profonda convinzione della gente dell’Alabama che ogni vita è preziosa ed è un dono sacro di Dio”. La legge, una volta entrata in vigore, verrà probabilmente sospesa da un tribunale. Ed è proprio questa la volontà dei promotori del provvedimento, che hanno intenzione di arrivare fino alla Corte Suprema. L’obiettivo è rivedere la storica sentenza del 1973 “Roe v. Wade”, che rese legale l’aborto.
La storia dell’Alabama fin dal secolo scorso è stata strettamente legata alla storia difficile dell’integrazione razziale. Negli anni ’60 sotto il governatore Wallace, lo Stato si oppose alla campagna federale per l’integrazione. Solo nel 1965 gli afroamericani riacquistarono il diritto di voto, perso nel 1901, e fu abolita la segregazione. Dagli anni ’70 è diventato roccaforte del Partito Repubblicano. Nel Green book, “Il libro dei negri viaggiatori”, si elencavano solo otto località in Alabama ritenute sicure per un viaggiatore di colore. Numero molto basso, considerando che in Georgia ve ne erano 17, nel Mississippi ve ne erano elencate 38 e nel Tennessee 66.
Uno Stato, quindi, refrattario alle trasformazioni, particolarmente arretrato sul piano dei diritti civili, se consideriamo anche che l’Alabama ha il tasso di pena di morte pro capite più alto nel Paese. Impone più condanne a morte di quanto non faccia il Texas, uno Stato che ha una popolazione cinque volte più elevata.
Un mondo lontano, apparentemente, dal nostro, tradizionalmente democratico, se non fosse che il vento della reazione spira forte in ogni angolo del mondo. Quello che è avvenuto in Alabama deve farci ulteriormente drizzare le antenne dell’attenzione rispetto a quanto sta avvenendo nel nostro paese circa la percezione delle donne. Il disegno di legge Pillon, per esempio, si è già presentato come un grave attacco alle conquiste ottenute con fatica dalle donne, negli ultimi decenni, nell’ambito del diritto e della giurisprudenza sulla famiglia e sulla violenza domestica. A Roma, sulla via Tiburtina, è apparso un cartellone di 250 metri quadrati del movimento Pro Vita con l’immagine di un feto e, nella scritta, il riferimento all’attivista svedese contro il cambiamento climatico Greta Thunberg. “Cara Greta se vuoi salvare il pianeta, salviamo i cuccioli d’uomo”.
Il problema è politico, il personale è politico, ancora una volta la popolazione femminile rappresenta il terreno più facile ed immediato per l’esercizio di quella che Foucault ha identificato come biopolitica. Se il corpo e la sessualità sono fatti oggetto di controllo costante – scientifico, etico, religioso – per l’esercizio di un potere che in un continuo gioco di rimandi e commistioni fonde corpo biologico e corpo politico, è inevitabile che il destino di procreatrici – tornato a delinearsi come prioritario anche dal punto di vista politico – rende le donne giuridicamente subordinate. In un mondo in cui prevale il concetto di superiorità declinato in tutti suoi possibili connotati, l’estremo debole dell’asse del potere, cioè le donne, deve soccombere per garantire all’estremo forte la governabilità assoluta del mondo. Da qui il pericolo rappresentato dalla legge 194, in vigore dal 1978, che riconosce alle donne il diritto di gestire il proprio corpo. Sappiamo tutte che l’aborto non è mai una scelta contraccettiva, non vi si arriva mai a cuor leggero e per fortuna oggi, rispetto ai primi anni in cui la legge è andata in vigore, gli interventi sono diminuiti e la contraccezione è entrata nel vocabolario e nella prassi delle giovani, un tempo vittime di ignoranza e di silenzi domestici. Infatti, il trend delle interruzioni di gravidanza è in diminuzione fin dal 1983.
Sembra, comunque, quanto mai strano fare ancora oggi discorsi del genere. Parliamo ancora, a distanza di circa cinquanta anni dalle lotte femministe, di violenza maschile che non è solo quella fisica, di possesso materiale che pure purtroppo ci presenta quotidiani orribili casi di cronaca, ma di violenza esercitata in senso lato dal maschio, dalle istituzioni e da altre donne (vedi la governatrice dell’Alabama). Nella logica del sistema patriarcale che ritorna come sistema di governo, nei momenti in cui la storia sta profondamente cambiando gli assetti sociali e la paura del potere di perdere sé stesso fa sì che gli anelli deboli vengano schiacciati.
Stiamo molto attente, sorelle! Non solo per noi stesse ma per le nostre figlie e le nostre nipoti. Ma tutto sommato anche per i nostri uomini. Nessuna società in cui vi sia disparità può essere felice. Parliamo con i giovani, facciamo conoscere la storia, confrontiamo passato e presente.
Solo così eviteremo un giorno i mantelli rossi delle ancelle.