Il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, nel corso di questo mese d’aprile appena trascorso – procedendo nel successo già verificatosi nei mesi precedenti in questo primo scorcio di anno 2019 – ha ospitato un paio di eventi che prevedevano per i visitatori la partenza da Napoli, l’arrivo e la visita del Museo. Il tutto con un unico biglietto e – come chicca particolare – viaggiando in treno storico.
Il Museo di Pietrarsa offre anche uno spazio di singolare ampiezza – detto il “Salone delle vaporiere” – dove si effettuavano i lavori di montaggio, smontaggio e riparazione delle grandi locomotive a vapore. Tra esse faceva bella mostra di sé la locomotiva Bayard, dal nome dell’ingegnere francese suo costruttore, che progettò e realizzò in concessione la prima linea ferrata d’Italia, allora ancora divisa – “heuréusement” aggiungerei di mio – su incarico della corte borbonica di Re Ferdinando II, nell’anno 1836.
Quella locomotiva fu chiamata Vesuvio e nell’Ottobre del 1839 percorse i poco più di sette chilometri di tracciato dei binari della ferrovia Napoli-Portici. Poi i lavori toccarono Torre del Greco, Torre Annunziata e Castellammare entro l’anno 1842. Due anni dopo, nel 1844, toccò a Pompei, con fermata Pompei Scavi. E infine la linea ferrata andò oltre, toccando Angri e Pagani, fino a Nocera Inferiore entro l’anno 1844. Tutto questo in soli otto anni, partendo dal Nulla. Roba da far arrossire oggi sia i No-TAV che i Sì-TAV e la relativa compagnia di giro che straparla e sbraita nelle TV e sui Social di ogni tipo. Questo, almeno, diciamocelo con franchezza.
Quest’anno quindi ci apprestiamo a vivere il centottantesimo anno della ricorrenza di quel viaggio breve ma straordinario che proiettò il Regno di Napoli nell’olimpo mondiale delle grandi nazioni industrializzate e il Real Opificio Borbonico di Pietrarsa, a pochi passi da Napoli, nel gruppo delle officine più note e apprezzate al mondo. Tra le locomotive conservate al Museo di Pietrarsa c’è oggi anche una gemella di quella gloriosa e antica locomotiva costruita – anzi quasi clonata – nel 1939, esattamente un secolo dopo. Insomma, Il museo ferroviario di Pietrarsa propone al visitatore, tra le tante altre, le locomotive a vapore che hanno fatto la storia della trazione ferroviaria a vapore in Italia, allora leader tra i leader europei.
Ma il sito di Pietrarsa ricorda, anche e purtroppo, una storia di violenza e di sopraffazione verificatasi nell’anno 1863. Fu quando i Bersaglieri Piemontesi – utilizzati in operazione di repressione poliziesca antisommossa – aggredirono le maestranze in lotta contro i feroci tagli di personale e commesse, dirottate alle nascenti industrie metalmeccaniche del Nord dell’Italia, stavolta unita, “malheréusement” aggiungerei. Ci fu una carica alla baionetta a cui seguirono poi spari alla schiena sui fuggitivi. Il bilancio ufficiale fu di quattro morti e dieci feriti, questi ultimi ricoverati all’Ospedale Pellegrini di Napoli. Quello reale di feriti e contusi fu più vasto e diffuso, come sempre accade negli scontri tra manifestanti e repressori. Il Real Opificio di Pietrarsa non si rialzò più dal tragico evento.
Oggi – piuttosto che discettare sulla soppressione della prima linea ferroviaria d’Italia, come da ipotesi affacciatasi agli atti del Grande Progetto Pompei – proprio a quella locomotiva si potrebbe affidare il viaggio di una rinnovata tratta turistica “storica” Napoli-Portici-Pompei. Si potrebbe offrire così ai turisti diretti a Pompei, dopo la visita al MAN, il Museo Nazionale Archeologico di Napoli, la emozione della visita a Pietrarsa. Non sono questi esercizi di fantasia, ma ipotesi percorribili. E tra le ipotesi percorribili grazie al Grande progetto Pompei, inseriamo anche il MAP, il Museo Archeologico Pompeiano. In quest’ultimo si potrebbero far confluire tutti i più significativi reperti dell’epoca del Grand Tour. E le più importanti testimonianze della ormai plurisecolare storia della “Opera degli Scavi pompeiani”. E anche i tanti, tantissimi ritrovamenti archeologici che dal dopoguerra postmaiurino si sono avuti a Pompei e nel suo territorio, nonché quelli che si prospettano, ineludibilmente, con gli interventi nella Buffer Zone UNESCO.
In tal modo, la straordinaria eccezionalità della dotazione romana e antichistica del MAN sarebbe comunque fatta salva e garantita, anche agli occhi dei più rigorosi puristi della storicizzazione dei “pezzi” archeologici ospitati dal MAN. E, a tal proposito, i puristi della “vocazione” del MAN ad essere Museo Archeologico non dimentichino che il bel palazzo monumentale del MAN nasce come cavallerizza del troppo breve rinascimento aragonese. Poi diventa il sei-settecentesco Palazzo degli Studi universitari. E infine, sempre l’attuale Palazzo del MAN diventa Real Museo Borbonico, sostanzialmente “concepito come Museo Universale”, come il suo stesso sito WEB racconta testualmente. Di tale suo eccelso passato però non rivive traccia nel fabbricato monumentale, se non affidata a qualche isolata e dimenticata lapide.
La storia recente del Museo Nazionale ci racconta che è l’anno 1957 quello in cui l’attuale Palazzo del MAN “perde” alcune proprie componenti storiche – che vengono trasferite in altre sedi – assumendo la propria destinazione definitiva di Museo Archeologico. Una vocazione quindi e tutto sommato recente, almeno questo ci sia consentito dirlo ai puristi della Conservazione. E in più, ci sia consentito ricordare che proprio il tramonto degli anni Cinquanta del Novecento – che vide anche il pensionamento di Don Amedeo Maiuri nell’anno 1961 – potrebbe rappresentare il crinale sul quale far convergere le comunque rispettabili opinioni divergenti degli addetti ai lavori. Puristi e non. In conclusione, il Viaggio da Napoli, via Pietrarsa, fino a Pompei e al “suo” MAP potrebbe rappresentare un viaggio nel Tempo. Per ricordare chi siamo. E da dove veniamo.
Dunque, Grande Progetto Pompei, se ci sei, batti un colpo!