Non ho saputo trattenermi dall’usare questa immagine, circolata recentemente sul web. Oltre ad essere divertente e garbatamente ironica, esprime una valutazione “filosofica” non superficiale. Condivisibile o meno è secondario.
Immagino che la nota piattaforma dei 5Stelle sia intitolata a Rousseau per via del discorso da questi elaborato nel suo Contratto sociale, a metà del ‘700, a proposito della sovranità popolare, della contrapposizione tra volontà generale e volontà particolare, della negazione della rappresentanza. Cioè, si è visto in Rousseau un teorico ante litteram della Democrazia Diretta e Partecipata propugnata dal Movimento.
Si potrebbe discutere a lungo al riguardo, ma sarebbe irrilevante. Il punto è: la piattaforma rappresenta davvero un adeguato strumento di partecipazione politica diretta? L’immagine risponde evidentemente in senso negativo. Il Garante per la protezione dei dati personali, con il suo ormai noto Provvedimento sanzionatorio di ieri, anche.
Vediamo cosa ha scritto. “…la rilevata assenza di adeguate procedure di auditing informatico … non consente di garantire l’integrità, l’autenticità e la segretezza delle espressioni di voto…” La piattaforma “…non appare in grado … né di prevenire gli eventuali abusi commessi da addetti interni … né di consentire l’accertamento a posteriori dei comportamenti da questi tenuti … Non c’è dubbio, infatti, che qualunque intervento ex post di soggetti di pur comprovata fiducia (notai, certificatori accreditati) poco possa aggiungere dal punto di vista della genuinità dei risultati … su dati che sono … tecnicamente alterabili in pressoché ogni fase del procedimento di votazione e scrutinio.”
Ovviamente, non è detto che il Garante abbia ragione. Avverso il provvedimento può essere proposta opposizione all’Autorità giudiziaria ordinaria. Però nel passato l’Associazione Movimento 5 Stelle e l’Associazione Rousseau hanno dato esecuzione (assai parziale come si vede) a provvedimenti analoghi, evidentemente ritenuti corretti.
Lo statuto del Movimento basa tutto sulla Piattaforma Rousseau, stabilendo che “competono agli iscritti, mediante lo strumento di democrazia diretta e partecipata costituito dalla consultazione in Rete” tutte le decisioni fondamentali per la sua azione politica. Dall’elezione degli organi alla scelta dei candidati, dall’approvazione dei programmi politici a quella delle proposte di legge e comunque ad ogni decisione rimessa alla consultazione in rete. Vedi da ultimo quella sul rinvio a giudizio di Salvini per il caso Diciotti. E il conteggio dei voti viene effettuato “in via automatica dal sistema informatico della Piattaforma Rousseau”, mentre “la regolarità delle consultazioni è certificata da un organismo indipendente.”
Quindi, se la piattaforma non funziona, non funziona il Movimento. O meglio, magari funzionano entrambi alla grande, ma con buona pace della democrazia. Quale che sia l’attributo che le si vuole accostare.
Sono assolutamente sicuro che le sanzionate inadeguatezze della Piattaforma non siano volute. Sono altrettanto certo che mai il voto degli iscritti sia stato alterato. Però qualche ingenuo potrebbe pensarlo e comunque potrebbe avvenire in futuro. Qualcuno, magari in malafede, potrebbe anche chiedersi se sia credibile che un Movimento così sostanzialmente privatistico (i soci della Rousseau sono quattro) faccia davvero dipendere dagli iscritti, per esempio, la nascita dell’esecutivo (contratto di Governo) piuttosto che la sua tenuta (caso Diciotti) o, più semplicemente, la scelta dei candidati.
Perfino le normali elezioni politiche e amministrative vengono talvolta sporcate dalla compravendita dei voti, figuriamoci cosa potrebbe teoricamente succedere in un sistema tecnicamente gestito da non più di una decina di persone. Ma, nel primo caso, la reale salvaguardia sta nella partecipazione: dei votanti, degli scrutatori, delle forze dell’ordine, delle Commissioni elettorali.
Non è la tecnologia a garantire la trasparenza. Non è stato Rousseau a fare la Rivoluzione Francese.