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Il Plebiscito e le grate ingrate

by Giulio Espero
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La vicenda della linea 6 della metropolitana si complica non poco. Le grate al Plebiscito non s’hanno da fare, parola di direttore generale.

Ma andiamo con ordine. Come tutte le linee di traporto pubblico in sotterranea, anche la linea 6 necessita per legge di camere di ventilazione naturale al fine di assicurare, per motivi soprattutto di sicurezza antincendio, un giusto ricambio di aria con l’esterno degli ambienti ipogei.

Nel progetto originario del comune di Napoli, la camera e il pozzo di ventilazione erano ubicate in piazza Carolina. Dopo ulteriori indagini e approfondimenti su edifici storici interessati di fatto dalla realizzazione della linea sotterranea, come Palazzo Satriano e Palazzo Calabritto, fu decisa la variante del tracciato. Di conseguenza, fu necessario rivedere anche la soluzione relativa alle camere di areazione e fu scartata piazza Carolina “…per i lunghi tempi di esecuzione, per i sottoservizi da spostare e per l’impossibilità di accedere, durante i lavori, alla Prefettura e ai parcheggi ad essa riservati”.

Fu scartata anche l’ipotesi di piazza Trieste e Trento, nonostante i consistenti aspetti positivi di questa soluzione, perché sarebbero nati problemi di traffico e vivibilità ritenuti non risolvibili. Come pure quella sulla stessa piazza, lato San Carlo, perché troppo distante dal punto di allaccio per la ventilazione.

Dopo un laborioso processo di valutazione il Comune e la MN sono addivenuti alla soluzione, presentata alla Soprintendenza cittadina, di ubicare la camera di ventilazione, utilizzando una cavità già esistente, sotto piazza Plebiscito in corrispondenza dello spazio tra le statue equestri ed il colonnato della chiesa di S. Francesco di Paola. “Dalle planimetrie si evince che resteranno a vista solo due griglie di areazione integrate nella pavimentazione ed il tombino per la copertura dell’accesso dei vigili del fuoco che sarà pavimentato». La più grande delle griglie, quella di ventilazione, avrebbe misurato circa quattro metri per cinque. Più piccola quella del condizionamento, un metro per un metro e mezzo.

Appena resa pubblica questa soluzione progettuale si è scatenata una vivace polemica animata sui giornali dai soliti alfieri della conservazione, come lo storico dell’arte Tommaso Montanari, Marta Herling e altri intellettuali della Napoli colta e progressista che hanno gridato come sempre “allo sfregio del patrimonio artistico”. Polemiche rispedite al mittente dall’assessore Mario Calabrese, forte dell’autorizzazione del Soprintendente Garella.

Ma ecco la doccia fredda. Il Direttore Generale del Ministero (MIBAC), Gino Famiglietti, ha annullato in autotutela, con decreto del 5 dicembre, l’autorizzazione di Garella. Che sarebbe “affetta da vizi funzionali inerenti la esatta ed esaustiva rappresentazione dello stato di fatto e da conseguenti vizi di legittimità inerenti la carenza di motivazione”. Le necessarie informazioni puntuali sullo stato di Piazza Carolina sarebbero, infatti, pervenute su specifica richiesta e, quindi, solo “successivamente si è potuto procedere ad una valutazione tecnica comparata fra le soluzioni possibili in ordine alla dislocazione della camera di ventilazione”. Famiglietti si spinge oltre. incarica la Sovrintendenza di Napoli ad autorizzare solo l’ubicazione in piazza Carolina delle famigerate grate.

Senza entrare nel merito del progetto, nel quale è bene ricordare, però, ha messo le mani il maestro Alvaro Siza, uno dei più osannati architetti viventi, e che certamente poteva e può essere migliorato come tutti i progetti, qualche considerazione va fatta. Sarebbe interessante, per esempio, sapere se annullare in autotutela un parere già espresso da un organo regionalmente competente sia una prassi frequente e consolidata o sia avvenuta in via del tutto eccezionale e, in tal caso, perché. Possibile che da marzo 2018 il Ministero non sapesse nulla della vicenda e solo il 5 dicembre, dopo ben otto mesi, decida di esprimersi in maniera così dirompente, sconfessando l’operato di un suo apprezzato, almeno fin qui, Sovrintendente?

Poi c’è qualcosa che non torna. Piazza Plebiscito, dice Famiglietti, è sottoposta a vincolo “finalizzato a tutelarne le condizioni attuali di percezione prospettica … in rapporto anche alla libera fruibilità di detto spazio…” Di più. La piazza avrebbe “un pregnante significato identitario” e sarebbe “una delle poche vere piazze esistenti nella trama urbana di Napoli … una vera e propria agorà, punto di incontro della cittadinanza”.

Detto così, un puro esercizio teorico. Una visione della tutela intesa esclusivamente come vincolo e non come sviluppo e adeguamento alla modernità. Un quadro quasi visionario, cristallizzato in una guache ottocentesca, che poco a che vedere con la vita quotidiana dei napoletani. Una piazza è uno spazio urbano, di incontro, passaggio, scambio e convivialità per i cittadini. Non è un’opera d’arte in senso stretto, un quadro o una statua ad esempio, che posseggono una immodificabilità intrinseca frutto della mano di un solo artista.

Una piazza è il frutto di una stratificazione storica, a volte anche casuale di episodi architettonici variegati, circostanze,  necessità contingenti con il tempo storico che le genera. La piazza per definizione si adegua alle esigenze della città, altrimenti perde la sua essenza.

Possiamo dire lo stesso del Plebiscito per quei due o tre eventi che si tengono all’anno e le  corse dei cani che vi si tengono quotidianamente? Chi la frequenta? Chi si dà appuntamento sotto i suoi portici abbandonati? Uno spazio immenso e spesso inutilizzato, ben lontano dall’essere  un’agorà, un punto di incontro come il Gesù, il Mercato o Piazza Dante.

Il valore identitario del Plebiscito non è più forte di quello del Maschio Angioino, del Castel dell’Ovo, di Spaccanapoli e di mille altri luoghi della città.

E davvero venti metri quadrati di grate rasoterra non sono compatibili con tutto questo?

Non ne siamo convinti. Ricordiamo a tutti che fino all’intervento di Bassolino (all’epoca contestatissimo) che la chiuse al traffico, era un mega parcheggio e stazionamento di autobus. La sera ci giocavano a pallone i ragazzi, forse l‘uso migliore che ne sia mai stato fatto. Oggi, invece, sarebbe addirittura una “icona” e non conta che lì ci sia già un ambiente sotterraneo da utilizzare. Non conta neanche che per scavare a fianco della Prefettura (che ha subito fatto sapere di non essere d’accordo) bisognerà spostare, tra gli altri, i sottoservizi telefonici riservati (dovranno chiamare i servizi segreti?).

L’ostinazione e l’irritualità, che genereranno infiniti ricorsi, con le quali viene autorizzata una sola soluzione, quella di piazza Carolina, fa venire il sospetto di uno scontro politico e di potere. Non è che c’è dietro il nuovo che avanza?