L’altra sera un urlo improvviso ha squarciato la quiete serotina della mia casa. Accorro trafelato nella camera dei ragazzi per vedere cosa fosse successo e vedo la figliolanza festeggiare ebbra di gioia per la chiusura dell’indomani delle scuole di ogni ordine e grado, per l’allerta meteo, ordinata dal sindaco di Afragola, mutuando l’analoga iniziativa del sindaco di Napoli De Magistris.
Rapida ricerca tramite le consuete chat di WhatsApp. Anche gli amici napoletani mi confermano la stessa situazione: bambini, ragazzi e adolescenti in preda ad un irrefrenabile entusiasmo per l’ennesimo giorno rubato di festa a scuola e genitori costernarti ed infastiditi dal doversi barcamenare ancora una volta tra l’ufficio, il lavoro ed i figli da tenere forzatamente a casa.
E allora chiamata alle armi di nonni, zie vedove, babysitter per chi se le può permettere, oppure ferie e permessi, comitati di pianerottolo e chi più ne ha più ne metta.
Ormai dalle parti nostre quando c’è un’emergenza meteo non interviene la Protezione Civile ma l’associazione Nonni in Pensione (perlomeno quelli che non vanno a fare pilates o il corso di tango argentino).
Quasi quasi mi viene il sospetto che De Magistris si stia coltivando la generazione degli adolescenti napoletani. Saranno maggiorenni allorquando il caro sindaco sarà di nuovo candidato (Presidente della Regione, parlamentare europeo … vedremo) e, si spera, lo voteranno in massa memori dei tanti giorni di scuola bigiati allegramente.
Aldilà delle inevitabili battute e della facile ironia, aldilà anche del simpatico siparietto del sindaco di San Giorgio a Cremano che, “minacciato” sui social dal comico sangiorgese Peppe Jodice, ha annunciato di non chiudere le scuole nel proprio comune proprio per non essere costretto ad accudire le figlie del comico, il problema merita una riflessione un po’ più ampia.
I soggetti in campo sono vari e le responsabilità sono pesanti per chi amministra e deve tutelare i propri cittadini.
Da una parte abbiamo la protezione civile regionale che, sulla scorta delle previsioni meteo ufficiali, dirama lo stato di allerta attraverso la ormai nota palette di colori. Si va dal verde (assenza di fenomeni significativi prevedibili) a quella rossa (grave pericolo per la sicurezza delle persone). Dall’altra i sindaci e gli uffici comunali che devono interpretare questi spacci e tradurli in efficaci misure di prevenzione.
Certo guardando il cielo dell’altra mattina a Napoli, sgombro di nuvole, terso e pulito, con una temperatura appena appena frizzante, veniva veramente difficile comprendere il senso ed il fine ultimo della chiusura delle scuole (del resto attuata a macchia di leopardo nella provincia di Napoli).
Allora dov’è il cortocircuito? Sono i sindaci che esagerano? La Protezione Civile non è chiara?
In generale l’impressione che se ne ricava è quella di un atteggiamento complessivamente improntato da un’estrema cautela che sfiora in molti casi una sorta di qualunquismo dispositivo. Da un lato il novero di tutti i possibili fenomeni atmosferici adombrato dalla Protezione Civile, dall’altro il timore dei sindaci di trovarsi invischiati, additati alla pubblica gogna o, peggio, incriminati soprattutto in caso di danni o vittime.
Enunciare tutti i rischi connessi agli eventi atmosferici, senza una precisa localizzazione geografica ed una reale ponderazione del fenomeno, diciamoci la verità, è facile.
Il difficile viene dopo quando il sindaco, che è il primo responsabile della protezione civile dei suoi concittadini, deve decidere se rischiare semplicemente una figuraccia chiudendo le scuole anche quando non ce n’è veramente bisogno (e questo si capisce sempre dopo) o un avviso di garanzia a prescindere (quando ci scappa ahimè la vittima).
La vicenda delle allerte meteo sta avendo una deriva quasi comica se la faccenda, guardandola nel suo complesso, non fosse maledettamente seria.
Il meccanismo che si è consolidato è malefico e pernicioso. Chi fa le previsioni prevede che possa succedere praticamente di tutto, chi deve proteggere, in primis, cerca di proteggere sé stesso e, infine, la magistratura, in caso di danni o malauguratamente di vittime, non cerca le cause ma i colpevoli, da dare in pasto, insieme alla stampa, all’opinione pubblica.
Dio ce ne scampi e liberi.
Non vorremmo attirare gli strali dei soliti leoni da tastiera che infestano (sempre dopo) i social di commenti del genere dagli all’untore, ma come cittadini dovremmo interrogarci seriamente.
Forse non tutte le calamità sono prevedibili, forse dobbiamo abbandonare l’idea superominista che l’uomo contemporaneo possa controllare tutto, forse dobbiamo di nuovo imparare a convivere con l’idea che la natura alla fine vince sempre.
Non vorremmo dare l’impressione di superficialità, pressapochismo o peggio fatalismo, ma il concetto dell’uomo che ferma le frane, che controlla i venti, che gestisce le inondazioni, sempre e comunque, appartiene ad una cultura filosofica che è morta insieme al Novecento che l’ha prodotta.
Inquieta l’idea che la magistratura italiana, di fronte a tragedie enormi come quella di agosto delle Gole del Raganello in Calabria, apra un fascicolo per omicidio colposo a carico del povero sindaco di qualche paesino di poche centinaia di abitanti. Come se dal pericolo insito e implicito di risalire un torrente a piedi nudi ci dovesse salvare la pubblica amministrazione.
Noi cittadini del ventunesimo secolo abbiamo dimenticato il potere devastante della natura matrigna e confidiamo sicuramente troppo nel potere salvifico e tutelare dello stato positivista.
di Giulio Espero