Giovedì 13 settembre, all’alba, come di consueto in questi casi, le acque stagnanti della paciosa Cava de’ Tirreni sono state agitate dal vento turbinoso di un inquietante procedimento giudiziario. Una quarantina di perquisizioni domiciliari e la notifica di quattordici misure cautelari ad altrettanti esponenti di tre clan malavitosi dediti all’usura, al racket ed allo spaccio. I destinatari dei mandati di arresto erano già tutti in carcere o, tre di loro, ai domiciliari. Gli ordini di custodia sono stati quindi loro notificati nei rispettivi luoghi di detenzione.
Si fosse limitata solo a ciò, l’inchiesta – condotta dalla procura di Salerno su iniziativa dell’ottimo PM dott. Vincenzo Senatore – già di per sé sarebbe stata scioccante per Cava, i cui cittadini sono da sempre persuasi che “Cava è una città tranquilla”, dove la camorra non alligna. Sotto sotto tutti sanno che ciò non è vero, ma i Cavesi amano bendarsi gli occhi. L’inchiesta della Procura ha scoperchiato la pentola e ne è uscito un olezzo che non si può eludere. Ma non è tutto.
Il procuratore capo Corrado Lembo, al suo ultimo atto prima della pensione, ha dichiarato testualmente: “Credevamo che la città di Cava de’ Tirreni fosse immune da certi condizionamenti ed infiltrazioni criminali, ma ci sbagliavamo. Tra gli arrestati ci sono persone in allarmanti relazioni con appartenenti alle forze di polizia e con esponenti delle istituzioni locali”. Una bomba.
A cosa ha alluso il procuratore? Sulla stampa è immediatamente stato fatto il nome del vicesindaco, Enrico Polichetti, giovane senz’altro in rapporti di antica amicizia con alcuni degli arrestati; non per questo necessariamente con essi colluso nelle attività criminose, ovvero in pratiche di favoreggiamento. Lo stesso Polichetti ha immediatamente reagito, rivendicando la sua estraneità a qualsiasi attività dei clan. Scontato.
Meno scontata la reazione del sindaco, Vincenzo Servalli. Prima ha ritualmente espresso apprezzamento alla Procura, poi ha azzerato la giunta e revocato tutte le deleghe ai consiglieri comunali che le detenevano. Afferma di aver proceduto in questo senso per evidenziare la trasparenza della sua amministrazione. Ai più, viceversa, l’iniziativa è apparsa come una excusatio non petita. Quali responsabilità avrebbero i componenti della Giunta Municipale ed in consiglieri di maggioranza da rendere necessaria la loro immediata decadenza dalle funzioni? Il sindaco ha semplicemente perso per un attimo la bussola o sa e teme cose che giustificano tale iniziativa?
Fatto sta che l’inchiesta sta andando avanti. Non si usano espressioni quali quelle del procuratore Lembo solo per non far uscire dal carcere alcuni detenuti pericolosi. È evidente che gli sviluppi delle indagini dovranno, necessariamente dovranno, documentare la natura delle collusioni tra i clan e la pubblica amministrazione.
Ora, se i fatti contestati saranno limitati alla personale compartecipazione di un singolo assessore, ovvero di qualche consigliere comunale ad attività criminose condotte in privato, fossero anche di associazione con i clan, il tutto potrebbe risolversi nella mera espulsione degli indagati dal consesso civico. I singoli presunti rei si dovrebbero difendere in giudizio e, se colpevoli, pagherebbero in prima persona. Se però verrà contestato anche un eventuale pesante condizionamento del voto del 2015 da parte dei detti clan, allora si porrà un problema di legittimazione democratica all’esercizio delle funzioni di governo locale da parte dell’attuale amministrazione tutta. In questo caso sarebbero doverose le dimissioni.
di Luigi Gravagnuolo