Stefano Sorvino vanta un cursus honorum articolato e prezioso. Avvocato e docente universitario di dritto e legislazione ambientale, docente del Formez e della Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, consigliere giuridico del gabinetto del Ministero dell’Interno, più volte consulente della magistratura in procedimenti relativi a disastri ambientali (Sarno, Bracigliano e Siano, Melfi), consigliere ed assessore comunale ad Avellino, presidente dell’Azienda acquedottistica Alto Calore, segretario generale di varie Autorità di bacino regionali, autore di numerose pubblicazioni variamente incentrate su tematiche connesse alla gestione del territorio, attualmente è commissario dell’Agenzia regionale per l’ambiente in Campania.
Tutto ciò non ne fa solo un cultore della pubblica amministrazione, come ama definirsi, quanto un profondo conoscitore della macchina amministrativa e delle problematiche ambientali del nostro territorio, una memoria storica e una coscienza critica, una risorsa.
Il suo ultimo lavoro, “Una vita, più vite: ricordando il prefetto Guido Sorvino. Note di storia dell’amministrazione”, edito nel 2016 da Terebinto Edizioni, riletto oggi alla luce dei recenti tragici accadimenti che coinvolgono competenze di controllo e prevenzione sia centrali che periferiche, ne è una conferma.
Non a caso, è inserito nella Collana di Storia del Mezzogiorno curata dall’editore. E’, infatti, prima di tutto un libro di storia: della pubblica amministrazione, in particolare prefettizia; dell’evoluzione legislativa in materia di protezione civile; della realtà avellinese e, ovviamente, familiare. Ma il ricordo del padre, sempre rigoroso ed equilibrato, forse fin troppo attento a non cadere nell’agiografia, distaccato e obiettivo, pur soddisfacendo un’esigenza personale e della categoria, non appesantisce mai la trattazione ed anzi è un gradevole ed utilissimo strumento del racconto, un fil rouge robusto che tiene insieme, e a tratti giustifica, la narrazione e l’analisi di accadimenti e situazioni variamente articolati.
Le direttive principali del discorso si intersecano e si mischiano inevitabilmente, ma restano sempre chiare e identificabili grazie alla logica dell’impostazione e all’uso di una lingua piana, comprensibile pur nell’analisi di fatti complessi. Si legge scorrevolmente, desta curiosità e interesse, simpatia umana. Grazie a ciò, l’autore, pur attento a non prendere posizione, finisce per spingere abilmente il lettore nella direzione voluta e si corre il rischio di ritrovarsi fan dei prefetti o a chiedersi come mai Avellino non sia Capitale.
Ma, soprattutto, informa e offre squarci di realtà di notevole interesse, proposti da un angolo visuale solo apparentemente locale.
L’esposizione dello sviluppo delle nascenti istituzioni democratiche negli anni ’50 è di grande interesse. Per tutte, voglio riportare la citazione che viene fatta di Scelba: “Il prefetto è tutto. E’ lo Stato. E’ l’assoluto kantiano, l’imperativo categorico. E come tale … deve avere coraggio fisico e morale…” Il che fa riflettere sull’effettività dello spirito democratico della classe di governo di quegli anni.
L’analisi della fase costituente delle Regioni, in particolare quella campana, si distingue per la sua lucidità e contiene spunti di riflessione particolarmente utili oggi, in un momento in cui molti si interrogano sull’utilità dell’istituto che non è riuscito e non riesce a dare risposte a problemi che richiedono un quadro ordinamentale, anche territoriale, più idoneo.
Tambureggiante il racconto della notte del terremoto, vista dal campo, dalla parte di chi doveva immediatamente intervenire e non ne aveva le concrete risorse. La ricostruzione offre la rappresentazione plastica dell’inadeguatezza normativa, formativa, conoscitiva, organizzativa.
Non poteva quindi mancare l’appendice che approfondisce, fino all’attualità, l’evoluzione del sistema di protezione civile. Si ha come la sensazione del pendolo. La normativa oscilla, va avanti e torna indietro. Nel migliore dei casi per difetto di approfondimento e conoscenza, per cui si va per tentativi, ci si confronta con l’evento. Nel peggiore, per interesse politico, per cui dopo aver esagerato in un senso si esagera in quello opposto.
Forse anche per mancanza di fondi. Il sistema di protezione civile è prima di tutto conoscenza e prevenzione, cioè manutenzione. Un settore nel quale si investe storicamente malvolentieri perché il ritorno è modesto. Ne sanno qualcosa a Genova, in questi giorni.
di Flavio Cioffi