Sul Ponte Morandi, e sulla tragedia che si è determinata, non si è persa ancora una volta l’occasione per dire stupidaggini. Nessuno ha provato a ragionare a mente fredda, come servirebbe.
Il viadotto è stato progettato nel 1961 e realizzato nel 1967. Qual era il carico massimo previsto per questa infrastruttura? Con quale mix di veicoli privati e di TIR?
Non è improbabile immaginare che si sia determinato nel tempo un carico maggiore rispetto alle ipotesi progettuali, considerando lo sviluppo del traffico su gomma che si è intanto determinato.
Di conseguenza, il tema non riguarda solo la manutenzione della struttura, ma soprattutto l’adeguatezza dei calcoli originari rispetto al traffico effettivo.
Se questo è il tema, si sarebbe dovuto procedere tempestivamente a scelte di gestione e di politica dei trasporti. Il concessionario aveva il dovere di provvedere comunque alla manutenzione straordinaria di consolidamento per rendere compatibile la sicurezza con l’incremento del carico.
Oppure, si sarebbe dovuto procedere a realizzare un percorso alternativo, che era stato anche ipotizzato, vale a dire la Gronda.
Non si è fatto né l’uno né l’altro. Ed ora si sprecano tante parole inutili, quando ormai non c’è più nulla da fare per rimediare.
Veniamo al punto essenziale che dovrebbe essere il tragico insegnamento di questa vicenda. Bisogna prendere decisioni tempestive, invece di traccheggiare nel vuoto delle scelte.
Siamo nel mezzo del guado, come sistema Paese. Possiamo decidere di continuare a crescere, ed allora dobbiamo ripensare le scelte infrastrutturali fondamentali, smettendo l’abito dell’indecisione.
Oppure possiamo decidere di proseguire a decadere, continuando a contare i morti.
di Pietro Spirito – Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Tirreno Centrale