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Il mondo visto dal Texas

Isolazionismo

by Luigi Gravagnuolo
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Ve lo figurate un Paese dove non si pagano tasse, in crescita demografica, dove la disoccupazione è nei limiti minimi fisiologici, il Pil cresce più che nella Cina e col Pil crescono l’occupazione e il reddito medio delle famiglie? Un Paese dove la benzina si paga cinquanta centesimi il litro, un pieno di ricarica elettrica sui dieci euro con un’autonomia di oltre seicento km? Dove le auto si guidano da sé col pilota automatico e dove sono ubicate le industrie più innovative del mondo? Questo Paese c’è, si chiama Texas. Una sola puntualizzazione al riguardo: abbiamo detto che non vi si pagano le tasse; è vero, ma solo le tasse dello Stato, quelle federali si pagano. Tuttavia, per farvi un’idea, mentre lo stipendio di un impiegato a New York o in California viene falcidiato del 50% dalle trattenute fiscali alla fonte, quello di un suo collega del Texas solo dell’8,6%.

Lì Trump e il Partito Repubblicano nelle urne hanno sfangato i democratici, come fanno da anni a questa parte. La spiegazione non sta nel rancore della classe media che si sente minacciata dall’immigrazione, o nella classe operaia bianca che vede bloccato l’ascensore sociale e si sente prigioniera nella sua condizione di classe subalterna. Bisogna viverlo un paese per entrare dentro la sua testa. La ragione è un’altra, o meglio è soprattutto un’altra.

Donald Trump, è sotto gli occhi del mondo intero, non ne sta imbroccando una in questi primi passi della sua seconda presidenza. In Medio Oriente ha ereditato la tregua pazientemente tessuta da Blinken, se n’è appropriato e subito ha minacciato che avrebbe scatenato l’inferno a Gaza se Hamas non avesse rilasciato ad horas tutti gli ostaggi israeliani. Di più, che, dopo aver massacrato i residenti palestinesi e deportato i superstiti, avrebbe fatto della striscia un resort extra lusso per i miliardari americani ed israeliani. E Hamas dopo pochi giorni ha bloccato il rilascio degli ostaggi, la tregua si è rotta, sono ripresi i bombardamenti israeliani e con essi la guerra. E l’inferno minacciato? Ma dai, si diceva per dire.

In Ucraina avrebbe ottenuto la pace in tre giorni. La guerra è stata tutta colpa di Biden e Zelenskij, Putin, quell’amicone dai buoni sentimenti, non ha potuto fare altro che difendersi. Ora, con lui alla Casa Bianca, si sarebbe risolto tutto. Dopo aver incassato finora solo i deridenti raggiri di Putin, dice a se stesso che forse lo zar lo sta prendendo in giro. E digrigna: se così fosse, guai a lui! Ma Putin continua a sbeffeggiarlo.

Ha deliberato dazi spaventosi per mettere fine alla nefasta globalizzazione che agli USA è costata troppo in relazione ai presunti vantaggi avuti. First America perdiana! Dopo neanche tre giorni contrordine compagni, se ne parla tra tre mesi.

Dall’Artico all’Antartide tutto l’emisfero occidentale deve essere americano o sotto controllo USA, la Groenlandia e il Canada devono diventare Stati della Federazione, il Golfo del Messico deve diventare Golfo d’America, Panama deve essere gestita in esclusiva dalla Casa Bianca. E cosa succede? Dall’Artico all’Antartide si leva un movimento di rigetto delle sue pretese.

Gli danno fastidio le università, specie quelle dell’Ivy League dove vengono formate le élite del Paese, e minaccia di strangolarle togliendo loro i finanziamenti della Federazione. E monta la protesta di studenti ed accademici. Dopodomani, primo maggio, in tutta la Federazione si svolgeranno le manifestazioni del movimento Fifty-Fifty-One, cinquanta Stati, cinquanta proteste, un movimento.

Eppure ad oggi i sondaggi registrano un calo dei consensi tutto sommato nei limiti fisiologici comuni a quasi tutti i suoi predecessori nei primi cento giorni di presidenza, niente di che. Anzi, quando va ad un meeting con gli elettori, viene accolto da folle osannanti. Come si spiega questo appoggio popolare nonostante che il tycoon sembri brancolare nel caos?

È che Trump esprime la vocazione dell’anima profonda dell’America interna, l’isolazionismo. Diceva re Ferdinando di Borbone che il suo regno era al sicuro perché protetto su tre lati dall’acqua salata e al nord dall’acqua santa. Sbagliò i calcoli, ma tant’è. Grosso modo è questo il sentimento più diffuso tra gli americani dell’interno, in Texas più che altrove. Si sentono protetti da due oceani e da due aree glaciali. I fronti di guerra sono lontani una decina di fusi orari, chi li può minacciare? E poi hanno tutto, dal petrolio all’acqua, dalle terre fertili alle industrie, tra queste la Tesla di Elon Musk e il Centro aerospaziale della NASA ad Houston. Noi stiamo bene, per quale diavolo di motivo dovremmo andare a impegolarci nei conflitti e nei problemi del resto del mondo? Farci carico della salute degli altri, della povertà degli altri, della libertà degli altri?

In cuor loro, ne sono certo – ammesso che la conoscenza della storia sia un patrimonio comune ai cittadini texani – staranno ancora a maledire quei disgraziati di giapponesi che attaccarono Pearl Harbor il 7 dicembre del ‘41, trascinandoli nella guerra mondiale. Loro non hanno nessuna intenzione di andare per il mondo a farsi ammazzare per la libertà degli altri. Non reggono questi impegni a lungo, il Vietnam e l’Afghanistan stanno lì a testimoniarlo. Se però si sentono minacciati o addirittura attaccati a casa loro, diventano spietati. Successe dopo Pearl Harbor ed è successo dopo le Due Torri. Al netto di ciò, che ciascuno se la sbrighi da sé.

Gli Ucraini vogliono la libertà? Se la conquistino, tutt’al più con l’aiuto dell’Europa, ma non ci facciano spendere soldi per loro. Altro che minaccia per la Russia, l’adesione di Kyiv alla NATO è una minaccia per gli USA. Se la Russia attaccasse un’Ucraina membro della NATO scatterebbe l’obbligo per gli USA di scendere in guerra. E allora, caro Putin, dacci il tempo di ritirarci e poi in Europa vedetevela tra voi, noi ce ne terremo fuori. A Trump, come alla maggioranza degli americani, specie quelli delle aree interne, non ha fatto per niente piacere l’adesione alla NATO di Finlandia e Svezia e, prima ancora, dei Paesi Baltici. E se a Putin saltasse in mente di attaccare nel Baltico? Imbecille quel Biden che ci ha messi in questa trappola!

È dunque l’isolazionismo il tratto distintivo costituente la mentalità dell’americano medio. E Trump ne è l’interprete. Sulla scia della mai abbandonata Dottrina di Monroe. I dazi, l’abbandono dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Organizzazioni umanitarie dell’ONU, l’insofferenza verso la stessa ONU, tutto risponde ad una logica: chiudiamoci a riccio, noi abbiamo tutto, facciamoci i fatti nostri e saremo più ricchi che mai e in pace col resto del mondo. Salvo che con la Cina, ma questa è un’altra storia, ne riparleremo.

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