È una delle poesie di “Pietre Ripetizioni Sbarre”, composte tra il 1968 e il 1969, negli anni in cui Ghiannis Ritsos era confinato nei campi di concentramento sulle isole di Ghiaros e Leros, e poi ristretto a domicilio coatto a Karlòvasi, sull’isola di Samo. Nato nel 1909 a Monemvasià, nel Peloponneso, si trasferisce ad Atene per frequentare l’università, ma contrae la tubercolosi e rimane per tre anni in sanatorio. Uscito, è copista per una banca, attore, correttore di bozze. Militante di sinistra in una Grecia oppressa dalle dittature militari, viene più volte arrestato e deportato in campi di concentramento. I suoi libri sono bruciati e messi al bando, sia durante l’occupazione nazifascista della Grecia, sia durante la dittatura dei colonnelli (1967-1974). Louis Aragon, introducendo “Pietre Ripetizioni Sbarre”, che esce clandestinamente a Parigi, lo definisce “il più grande poeta vivente di questo tempo che è il nostro”.
Non scordiamoli mai, disse, i buoni insegnamenti, quelli
dell’arte greca. Sempre l’azzurro di fianco
al quotidiano. Di fianco all’uomo: l’animale e l’oggetto
un braccialetto al braccio della dea nuda; un fiore
caduto al suolo. Ricordate le belle raffigurazioni
sui nostri vasi di terracotta, gli dèi con gli uccelli e gli animali,
e insieme la lira, un martello, un pomo, la cassa, le tenaglie;
ah, e quella poesia in cui il dio, finito il suo lavoro,
tira dal fuoco i mantici, raccoglie gli attrezzi uno per uno
nella sua cassa d’argento; poi, con una spugna, s’asciuga
il viso, le mani, il collo muscoloso e l’irsuto petto.
Così, pulito e ordinato, esce la sera, appoggiandosi
sulle spalle degli adolescenti “d’oro”, opera delle sue mani
dotate di forza, pensiero e voce; esce per strada,
più maestoso di tutti, il dio.
Azzurrità (trad. Nicola Crocetti).