“Che si tratti di teatro, letteratura o filosofia, la maschera ed il suo concetto rappresentano un elemento imprescindibile della cultura Occidentale”. Una grande filosofa del Novecento, Hannah Arendt, in questo discorso tenuto nel 1975, in occasione del conferimento del “Premio Sonning” in Danimarca, e posto come “Prologo” di “Responsabilità e giudizio”, ci ricorda che le parole “maschera” e “persona” hanno un’origine comune.
«Tutto ha inizio dopo che l’oracolo di Delfi, noto per la sua criptica ambiguità, lo definisce (Socrate, ndr) il più saggio dei mortali. Secondo Socrate, si tratta di una pericolosa iperbole, il cui senso è forse che nessun mortale è davvero saggio: forse Apollo vuole invitarlo soltanto a insinuare lo stesso dubbio nei suoi concittadini. Così, potrei oggi chiedermi, che cosa vogliono insinuare gli dei, inducendovi a scegliermi per questa onorificenza, a scegliere me, che non sono una figura pubblica e non ho mai avuto l’ambizione di esserlo?
(…) Lasciate che vi rammenti l’origine etimologica della parola “persona”, che deriva dal latino persona e rimane pressoché immutata in tutte le lingue europee, con la stessa unanimità con cui, ad esempio, la parola “politica” è stata mutuata dal greco polis. Non è certo privo di significato che una parola tanto importante del vocabolario odierno, una parola usata in tutta Europa per discutere di faccende giuridiche, politiche e filosofiche, derivi da una stessa fonte antica. E come se, in effetti, in questo antico vocabolario vibrassero accordi destinati a risuonare poi, con diverse modulazioni e variazioni, in tutta la storia intellettuale dell’Occidente.
Persona, in ogni caso, definiva originariamente la maschera che ricopriva il volto “personale” dell’attore e serviva a indicare agli spettatori quale fosse il suo ruolo nel dramma. Nella maschera, im-posta dal dramma, c’era però una vasta apertura, più o meno all’altezza della bocca, attraverso cui la voce dell’attore poteva passare e risuonare, nella sua nuda individualità. Ed è proprio da questo “risuonare attraverso” che deriva il termine persona: il verbo perdonare, “risuonare attraverso”, è quello dal quale deriva infatti il sostantivo persona, “maschera”. I romani furono i primi a usare il termine in un senso metaforico: nel diritto romano, persona indicava chiunque fosse in possesso di diritti civili, a differenza del semplice homo, che designava un membro della specie umana, diverso senz’altro da un animale, ma privo ancora di una specifica qualifica o distinzione – ragion per cui homo, come il greco anthropos, veniva anche usato con disprezzo per designare quanti non godevano di protezione giuridica.
(…) Noi tutti appariamo sempre sul grande palcoscenico del mondo venendovi riconosciuti per il ruolo che la professione ci assegna e prescrive, in quanto medici o avvocati, autori o editori, insegnanti o studenti, e così via. Ma è attraverso questo ruolo che qualcosa di diverso si manifesta, o che qualcosa “risuona attraverso” (…). In altre parole, il concetto di persona ci consente di vedere e capire… che i ruoli e le maschere che il mondo ci assegna, e che noi dobbiamo accettare e perfino guadagnarci per prendere parte alla grande commedia del mondo, sono scambiabili. Non sono inalienabili, nel senso in cui si parla di “diritti inalienabili”, non sono una maschera incollata al nostro volto, non sono tratti specifici del nostro io più intimo, nel senso in cui la voce della coscienza – come in molti ancora credono – può essere un tratto specifico della nostra anima.»
Hannah Arendt, Responsabilità e giudizio.