Home Cultura LE CITAZIONI: Calamandrei. La condizione delle carceri: Vedere!

LE CITAZIONI: Calamandrei. La condizione delle carceri: Vedere!

Piero Calamandrei

by Ernesto Scelza
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Nel marzo del 1949, la Rivista “Il Ponte”, “mensile di politica e letteratura” diretta da Piero Calamandrei, dedica un intero numero al problema carcerario in Italia nei primi anni del dopoguerra: “Carceri. Esperienze e documenti”. Il fascicolo si apre richiamando un intervento di Filippo Turati alla Camera dei Deputati del 18 marzo 1904: “Le carceri italiane rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si sia mai avuta”; e nella nota di apertura constata amaramente -nel 1949 (!)- “Le carceri italiane, cimitero dei vivi. Erano così cinquant’anni fa, sono così oggi, quasi immutate”. Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti della Repubblica italiana, tiene un discorso alla Camera il 27 ottobre 1948 in cui chiede l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle carceri.

 

«Bisogna vederle (le carceri italiane, ndr), bisogna esserci stati, per rendersene conto. Ho conosciuto a Firenze un magistrato di eccezionale valore che i fascisti assassinarono nei giorni della liberazione sulla porta della Corte d’appello, il quale aveva chiesto, una volta, ai suoi superiori il permesso di andare sotto falso nome per qualche mese in un reclusorio, confuso coi carcerati, perché soltanto in questo modo egli si rendeva conto che avrebbe capito qual è la condizione materiale e psicologica dei reclusi, e avrebbe potuto poi, dopo quella esperienza, adempiere con coscienza a quella sua funzione di giudice di sorveglianza, che potrebbe esser pienamente efficace solo se fosse fatta da chi avesse prima esperimentato quella realtà sulla quale deve sorvegliare. Vedere! questo è il punto essenziale.

(…) Voi sapete che quel sorprendente opuscolo che costituisce una delle glorie più grandi della civiltà italiana, quel miracoloso libretto ‘Dei delitti e delle pene’ di Cesare Beccaria, che riuscì ad abolire in pochi anni in Europa la tortura e la pena di morte, è nato direi quasi per caso, proprio perché qualcuno aveva visto come si viveva e si soffriva nelle prigioni. Il Beccaria non era un giurista, era un economista: andava la sera in casa degli amici conti Verri, uno dei quali, Alessandro, ricopriva in quegli anni il pietoso ufficio di “protettore dei carcerati”. La sera Alessandro raccontava agli amici quello che aveva visto nell’esercitar quella sua missione caritatevole: gli orrori di quelle carceri, le sofferenze di quei torturati; e il Beccaria ne rimase talmente turbato che non come un trattato scientifico, ma come un grido di angoscia sentì uscir dal suo cuore quelle poche pagine che bastarono in pochi anni a travolgere in tutta l’Europa i patiboli e gli strumenti di tortura (…).

Ora… questo bisogna confessare chiaramente: che oggi in tutto il mondo civile, nella mite e umana Europa, a occidente o a oriente e anche in Italia (…) non solo esistono ancora prigioni crudeli come ai tempi di Beccaria, ma esiste ancora, forse peggiore che ai tempi di Beccaria, la tortura!»

Piero Calamandrei, L’inchiesta sulle carceri e sulla tortura.

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