L’Autore è Direttore Generale di Arpa Campania.
La recente sentenza di fine gennaio della European Court of Human Rights (CEDU) di Strasburgo di condanna dell’Italia – di carattere propulsivo più che giudiziario – sulla Terra dei Fuochi, il conseguente dibattito politico – mediatico, la visita in Campania della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e la nomina da parte del governo del Commissario unico Vadalà per bonifiche e discariche hanno riproposto all’attenzione questa ben nota problematica, emersa più di un decennio fa, su cui Arpa Campania è da tempo fortemente e concretamente impegnata sul versante tecnico-operativo, per il proprio ambito di competenza e sulla base degli indirizzi regionali e statali.
Preliminarmente, vorrei rivolgere un caloroso saluto ed augurio di buon lavoro al nuovo Commissario delegato, generale Giuseppe Vadalà, con cui abbiamo proficuamente collaborato in Campania, sin dal marzo 2017, nel suo precedente incarico commissariale di livello nazionale per l’adeguamento alla normativa delle discariche oggetto di procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea. L’auspicio è che egli, con le sue pregresse esperienze ed indiscusse capacità operative – soprattutto se dotato dal Governo delle necessarie risorse finanziarie – possa svolgere, in collaborazione con la Regione, un utile ruolo propulsivo e di coordinamento delle diverse attività già avviate dai vari Enti ed ancora da sviluppare per conseguire la piena sicurezza ambientale del territorio.
In particolare Arpa Campania, in stretta collaborazione con i Carabinieri Forestali, è la principale componente ambientale del gruppo di lavoro a coordinamento statale – costituito ai sensi della legge speciale per Terra dei Fuochi – che sta conducendo da anni una massiccia attività di controllo sui terreni agricoli potenzialmente interessati da effetti contaminanti per smaltimenti o sversamenti abusivi di rifiuti, nei novanta Comuni di Napoli e Caserta dell’area, anche con interramento e tombamento di rifiuti tossici e pericolosi oltre che con diffusi fenomeni di combustione in superfice.
L’obiettivo di questi approfonditi controlli, in un arco pluriennale, non è soltanto la valutazione dello stato di possibile contaminazione del suolo agricolo ma anche dell’eventuale passaggio degli elementi inquinanti dal suolo alla pianta e del loro potenziale ingresso nella catena alimentare con rischio per la salute umana. Il gruppo di lavoro, istituito nel 2013, ha individuato i siti interessati per area vasta, ha definito originalmente un modello scientifico di riferimento per la classificazione dei terreni investigati ai fini dei diversi utilizzi, in cinque classi di rischio presunto decrescente da R5 a R1, definendo metodiche di intervento ed indagini diversificate, mediante campagne ancora in atto ma in fase avanzata per le aree più rischio.
Nella prima fase sono state individuate 15.000/20.000 particelle catastali, corrispondenti a circa 1.900 siti per un totale di oltre 1.200 ettari da attenzionare, mettendo a sistema le informazioni ambientali già disponibili con particolare attenzione anche a quei terreni oggetto di movimentazioni sospette rilevate sulla base della sovrapposizione di ortofoto storiche. Questa azione è forse la più importante e tecnicamente impegnativa fra quelle finora messe in campo per indagare sul cosiddetto “territorio dei Fuochi”, ma è anche tra quelle meno note e visibili nel dibattito politico-mediatico in atto.
In circa un decennio di attività, dei suddetti 1.200 ettari di terreni da attenzionare perché più “sospetti” ne sono stati indagati, particella per particella e quindi con una densità di campionamento molto più elevata di quanto previsto dalla normativa tecnica settoriale, oltre 800, di cui più di 500 classificati come agricoli. Ora, se si considera che i 1.200 ettari mappati nei 90 comuni corrispondono a circa il 4,6% della superficie agricola utilizzata e che i terreni totalmente o parzialmente interdetti alle coltivazioni corrispondono a circa 180 ettari, ne discende che le indagini ambientali finora condotte hanno evidenziato criticità sullo 0,66% (sei per mille) del totale dei terreni agricoli dei comuni interessati.
Tuttavia, la circostanza che la quantità di suoli effettivamente inquinati risulti finora poco significativa non deve far deflettere sia dall’obiettivo di completare rapidamente le investigazioni ambientali, adottando ove necessario le discendenti misure di salvaguardia, sia – soprattutto – di attivare in modo celere i conseguenti procedimenti di bonifica dei siti contaminati, purtroppo lenti e farraginosi per la complessità procedurale della normativa di riferimento e che richiedono la disponibilità di ingenti risorse finanziarie.
Infatti, all’esito delle approfondite indagini svolte, vengono avanzate dal gruppo di lavoro le proposte operative ai Ministri competenti (Ambiente, Politiche Agricole, Salute) sulle conseguenti misure di salvaguardia, che costituiscono il necessario presupposto per l’attivazione dei successivi interventi di bonifica.
Questo lavoro progressivo con alta intensità di campionamento ed analisi di suolo, acque e prodotti, anche con l’effettuazione di indagini radiometriche e geo-magnetometriche – svolto da Arpac in collaborazione con i Carabinieri ed altri Enti – deve essere completato per tutti i suoli agricoli potenzialmente più a rischio, ponendosi a base delle future azioni di bonifica per quella limitata (o limitatissima) percentuale di terreni che risulta effettivamente contaminata a seguito delle caratterizzazioni ambientali.
L’Arpac contribuisce costantemente anche al contrasto ed alla repressione degli illeciti ambientali particolarmente diffusi in Terra dei Fuochi, fornendo collaborazione e supporto tecnico alle Autorità giudiziarie e, in particolare, alle Procure della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, Napoli Nord e Napoli, Nola e Torre Annunziata ed alle varie forze di polizia delegate, in numerosissimi accertamenti ed investigazioni.