Si apre con una domanda retorica (“Gli Stati Uniti sono un impero?”) “L’arco dell’impero. Con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità”, e pone i termini del confronto strategico che ci sta davanti. Qiao Liang è un militare di professione, è un generale. Ora non è più in “servizio attivo” ma è attivo nella trasmissione delle sue idee e nella condivisione delle esperienze maturate. Al tempo della stesura del primo libro di successo internazionale, “Guerra senza limiti”, del 2001, era Colonnello superiore (un grado che da noi non esiste, equivalente al Brigadier inglese che è l’ultimo grado degli ufficiali superiori prima della categoria degli ufficiali generali) impegnato in un ruolo né di combattimento né logistico, anch’esso inesistente in Occidente: il ruolo del “Lavoro politico”.
«Gli Stati Uniti sono un impero? Alcuni dicono di sì, alcuni dicono di no. Se sì, e lo sono, gli Stati Uniti sono un impero diverso da qualsiasi altro della storia: non ha colonie d’oltremare, non combatte guerre da esse, non saccheggia apertamente risorse e ricchezza, non impone la propria guida, non schiavizza le popolazioni nei territori occupati. Se questi sono i parametri di giudizio si può affermare che gli Stati Uniti non sono affatto un impero. Allora perché perseguono l’egemonia globale? E l’hanno veramente ottenuta?
(…) La via dell’impero non è più praticabile. Che gli Stati Uniti siano pronti o meno ad affrontare la situazione, la Cina deve trovare per forza un’altra strada. Ma quale? Io ritengo che, sebbene in Cina oggi si parli spesso di ‘liberare gli uccelli’, sarebbe più opportuno e più urgente ‘liberare i cervelli’. Ma bisogna essere lucidi fin da subito: l’ascesa della Cina non deve ripetere la trappola di Tucidide, che si è verificata anche troppo spesso nell’arco della storia. Il nuovo arrivato non può sfidare direttamente il vecchio impero, ma non può neanche evitare del tutto il conflitto. E la Cina non deve risparmiare sforzi, ma anzi fare tutto il possibile per non crollare subito, lasciando cadere gli altri per avere la possibilità di resistere, ripararsi e poi rimettersi con calma in carreggiata.
(…) Se il voto è l’unica cosa che conta, la democrazia può portare alla dittatura o persino alla tirannia della maggioranza. È qui che gli interessi della minoranza devono essere salvaguardati, per cui i concetti di libertà e di democrazia non vanno sempre di pari passo… I cinesi non hanno ancora capito che la democrazia e la libertà esistono solo come ‘alleati’ per fronteggiare l’assolutismo e l’autocrazia. Una volta raggiunta la democrazia, essa diventa spesso nemica della libertà. Così, quando parlo del declino della democrazia in Occidente, non intendo il declino del concetto astratto di “democrazia”, ma degli elementi che dipendono o sostengono la democrazia in Occidente oggi… I partiti politici hanno anche cessato di essere il segno distintivo della democrazia perché sono diventati gradualmente rappresentanti degli interessi personali di molteplici gruppi di interesse, sia negli Stati Uniti sia a Taiwan. E ciò significa che gli strumenti e le piattaforme su cui si basava il sistema occidentale sono decaduti, non hanno trovato un modo per sopravvivere.
(…) E allora quali sono le forze che possono cambiare nel profondo la forma della società? Non la ribellione, l’insurrezione o la guerra e, di certo, neanche le ‘rivoluzioni colorate’ che gli Stati Uniti sostengono in Medio Oriente e nei Paesi dell’Europa dell’Est, perché millenni di civiltà umana hanno dimostrato che ‘l’acqua su cui la barca galleggia può anche rovesciarla’, se non ci sono i fattori economici di base adatti a cambiare la forma della società.»
Qiao Liang, L’arco dell’impero. Con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità.