Nel “Programma delle attività per il 2025” che la SVIMEZ ha approvato nei giorni scorsi è presente una linea di ricerca riguardante un tema che da tempo chi scrive sta cercando di portare all’attenzione di chi è preposto al governo del territorio e alla pratica urbanistica: la rigenerazione del patrimonio urbano dismesso (A. Bianchi, La rigenerazione urbana per una nuova urbanistica, in Rivista Economica del Mezzogiorno, n.1-2, 2023).
Un caso particolare di questo tema generale è costituito dalle aree industriali le cui produzioni sono definitivamente cessate e le rispettive aree ed immobili di pertinenza risultano abbandonati.
In termini quantitativi si tratta di circa 9.000 Kmq – vale a dire l’equivalente in superficie di una intera regione come la Basilicata – e costituisce un fattore fortemente negativo in termini di impatto sulla qualità del territorio: degrado, inquinamento, pericolo e via dicendo, con costi che ricadono soprattutto sui Comuni.
Nel Mezzogiorno questa particolare tipologia di patrimonio dismesso ha una forte presenza per entrambi i fattori indicati – quantitativo e qualitativo – e discende dalla ben nota storia del processo di industrializzazione del Mezzogiorno della seconda metà del Novecento, che ha lasciato tracce pesanti in numerosi territori.
Dunque la rigenerazione di questo patrimonio a partire dalla riconversione delle funzioni che vi si possono insediare, è uno degli obiettivi qualificanti delle politiche per i territori meridionali.
Muovendo da questo presupposto va subito osservato che la principale difficoltà che si frappone ad intraprendere un simile percorso è data dalla mancanza di una adeguata conoscenza del patrimonio a cui si fa riferimento, perché le fonti attualmente disponibili sono poche, frammentarie e non sistematiche mentre quello che occorre è una banca dati che contenga e fornisca le informazioni sulle caratteristiche portanti dell’oggetto su cui si vuole intervenire: ubicazione, tipologia, dimensioni, stato di manutenzione, proprietà e quanto altro utile alla sua finalizzazione.
Questo è il motivo per cui la SVIMEZ ha avviato un’attività finalizzata a coinvolgere su questo tema le Regioni meridionali, le Amministrazioni locali, gli Istituti e le Associazioni di categoria, con l’intento di avviare un censimento sistematico delle aree industriali dismesse come base informativa della banca dati di cui si è detto.
Vi sono due esempi cui fare riferimento in questa direzione:
- la formazione di un “Albo degli immobili resi disponibili per la rigenerazione urbana” previsto per legge dalla Regione Emilia-Romagna che ne ha affidato la realizzazione ai Comuni;
- la Banca dati – costruita dalla Regione Lombardia con la collaborazione di Assimpredil/ANCE e delle Province – che contiene 745 schede descrittive delle aree censite consultabile on-line.
All’iniziativa della SVIMEZ hanno già aderito in qualità di promotori la “Federazione Italiana Consorzi Enti Industrializzazione” e “L’Unione Industriali del Lazio” che con i loro rappresentanti fanno parte del Comitato Scientifico, coordinato da chi scrive, al quale è stato affidato il compito di pervenire entro il primo semestre del 2025 alla costituzione del “Centro di documentazione sulle aree industriali dismesse nel Centro-Sud”. Un compito difficile ma ineludibile per contribuire alla riqualificazione dei territori meridionali.
La SVIMEZ – Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno è stata costituita il 2 dicembre 1946 con l’obiettivo di proporre programmi di azione ed opere finalizzati a sviluppare le attività industriali nei territori meridionali. Tra i suoi principali esponenti vanno ricordati Pasquale Saraceno e Salvatore Cafiero. Pubblica ogni anno il “Rapporto SVIMEZ sull’Economia e la Società del Mezzogiorno”. (P. Baratta, Dal Mezzogiorno. Riflessioni e convinzioni dall’interno della SVIMEZ, il Mulino, 2024).