Azar Nafisi è nata a Teheran nel 1948, ma dal 1997 vive negli Stati Uniti. In “Leggere Lolita a Teheran” narra la sua storia, quella di un insegnante di letteratura inglese che, per aggirare i divieti imposti dal regime degli ayatollah, fa lezione a sette studentesse nella sua casa (“I fatti qui raccontati sono veri, almeno nella misura in cui possono esserlo i ricordi”). La citazione proposta è tratta dalla parte finale dell’autobiografia/romanzo, cui aggiunge un “Epilogo”: “Ho lasciato l’Iran, ma l’Iran non ha lasciato me… Leggo le parole dei giovani studenti e degli ex rivoluzionari, gli slogan e le richieste di democrazia, e mi convinco ora più che mai che sarà proprio questo testardo desiderio di vita, libertà e ricerca della felicità dei giovani iraniani di oggi, i figli della rivoluzione, insieme alla dolorosa autocritica degli ex rivoluzionari, a decidere del nostro futuro”.
«“Però la frustrazione non sta tutta da una parte” aggiunse il mago (amico e interlocutore della protagonista, ndr).
“Come credi che si senta il signor Khamenei” -e mi lanciò un’occhiata beffarda- “a vedere le tue Mitra e Sanaz che se la spassano e nel frattempo corrompono le brave ragazze musulmane come Yassi e Mahshid? O a sentire i rivoluzionari più radicali che adesso citano Kant e Spinoza invece dei pensatori islamici? Senza contare la figlia del presidente, che mendica voti promettendo di concedere alle donne il diritto di andare in bicicletta nei giardini pubblici”.
“È tutto talmente ridicolo…” dissi.
“Sarà ridicolo per te,” rispose “ma vedi un po’ se ridono il presidente e i suoi seguaci, che devono conquistare il consenso dei figli della rivoluzione promettendo loro -almeno tra le righe- libero accesso a tutto ciò che sa di Occidente. E poi,” aggiunse con soddisfazione “i giovani oggi ascoltano Michael Jackson e leggono il tuo caro Nabokov con più entusiasmo e piacere di quanto abbiamo mai fatto io e te nella nostra gioventù decadente”.
“Ma tanto di che ti preoccupi?” continuò. “Molto presto ti lascerai alle spalle sia noi sia i nostri problemi”.
“Non lascerò né voi né i vostri problemi” replicai. “Ci sarai sempre tu, a raccontarmi tutto”.
“Toglitelo dalla testa” rispose. “Dopo che te ne sarai andata non ci parleremo più”.
Lo guardai stupefatta: “Chiamala come ti pare,” continuò “autodifesa, codardia, in ogni caso tenermi in contatto con i fortunati che ce l’hanno fatta è l’ultimo dei miei desideri”.
“Ma sei stato tu a incoraggiarmi” protestai, sconvolta.
“Certo, ma che c’entra. A ogni modo, queste sono le mie regole. Lontano dagli occhi lontano dal cuore”.
Aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per convincermi a partire, eppure quando si era accorto che me ne andavo sul serio, che alla fine era tutto deciso, non era felice per me. Forse era deluso. O forse pensava che la mia partenza fosse una specie di giudizio su chi mi lasciavo alle spalle.»
Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran.