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Le distorsioni dell’edilizia residenziale pubblica

scompare il governo delle città

by Alessandro Bianchi
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Isola – Milano

 

L’articolo del Direttore Cioffi “Vele sgomberate, riparte ReStart Scampia” getta luce su una questione di più ampia portata sulla quale vorrei proporre alcune riflessioni.

1. Le Vele di Scampia risalgono agli anni 1962-1975 allorché vennero realizzati su progetto di Francesco Di Salvo sette edifici su una superficie complessiva di 115 ha, una dimensione gigantesca.

Le vicende successive – puntualmente ricostruite nell’articolo – s<i sono dipanate per cinquanta anni, con episodi che vanno dalle demolizioni fallite a quelle riuscite, dalle occupazioni, ai gravissimi incidenti come quello del 22 luglio 2024 che ha causato tre morti e undici feriti, fino ai recenti sgomberi. Una triste vicenda – per usare un eufemismo – alla quale l’Amministrazione Manfredi sembra aver impresso una svolta in positivo con l’avvio di un processo di complessiva rigenerazione di cui non possiamo che rallegrarci, pur rimanendo in vigile attesa dei risultati.

2. Ma è bene avere presente che il complesso delle Vele di Scampia è tutt’altro che un episodio isolato, al contrario è uno di molti interventi analoghi realizzati negli anni settanta del Novecento, di cui ve ne sono tre che rappresentano dei casi limite:

  • Il quartiere Librino a Catania per 60.000 abitanti, avviato nel 1970 su progetto di Kenzo Tange su una superficie di 31 ha;
  • Il quartiere ZEN 2 a Palermo per 16.000 abitanti, avviato nel 1970 su progetto di Vittorio Gregotti, su una superficie di 118 ha;
  • Il quartiere Corviale a Roma per 8.500 abitanti, avviato nel 1972 su progetto di Mario Fiorentino.

Ciascuno di questi quartieri – analogamente alle Vele – ha vissuto vicende particolari e diverse, ma l’esito finale è il profondo degrado edilizio, il disagio sociale, le occupazioni, l’abusivismo e l’affermazione della criminalità, che da tempo li caratterizza tutti e tre.

A Librino hanno inciso fattori molteplici tra cui la scarsa attrattività del luogo, la rumorosità dovuta alla vicinanza dell’aeroporto e la difficile conformazione geomorfologica dei terreni.

Allo ZEN 2 vi è stata una ideologica accentuazione del mito del proletariato urbano unitamente alla completa mancanza di gestione dell’intera operazione.

A Corviale si è imposta l’idea di un unico edificio lungo quasi un chilometro, che avrebbe dovuto creare una barriera simbolica e materiale al dilagare dell’edilizia spontaneo-abusiva nel circondario.

 

Corviale – Roma

 

3. Accanto a questi fattori peculiari intervenuti nei diversi casi, ve ne sono poi alcuni di natura più generale che li accomunano e che sono la causa primaria dei fallimenti.

Anzitutto la sempiterna presenza della rendita fondiaria che ha influito pesantemente sulle scelte localizzative a favore di alcuni siti al posto di altri e alla massimizzazione degli indici edificatori (volumetrie, altezze, densità e via dicendo) il che è particolarmente grave trattandosi di edilizia residenziale pubblica.

Poi alla logica della rendita si è unita quella della speculazione edilizia, che ha inciso in modo particolare sulla scelta delle tipologie edilizie e dei materiali da costruzione.

Infine sono intervenute le esasperanti lentezze delle amministrazioni pubbliche nel far eseguire le opere di urbanizzazione primaria (strade, fognature, adduzioni energetiche, …) e secondarie (servizi scolastici, sanitari, sociali…) il che ha condizionato pesantemente la funzionalità e la qualità complessiva dei quartieri.

 

Librino – Catania

 

4. Ma l’aspetto che qui mi preme mettere in evidenza è che accanto ai fattori che condizionano da sempre le scelte urbanistiche e la qualità edilizia delle città, nei casi di cui stiamo parlando è stata presente una condizione del tutto particolare che riguarda la “filosofia” della progettazione affermatasi negli anni Settanta nell’ambito della edilizia residenziale pubblica.

Come ho avuto già modo di scrivere, credo che in quegli anni ci sia stata una sorta di suggestione collettiva che ha colpito architetti e urbanisti – che pure in altre occasioni hanno dato vita a interventi di qualità – i quali nel progettare i quartieri di edilizia residenziale pubblica si sono rifatti alle utopie urbane ottocentesche, proponendo progetti edilizi espliciti alla luce di progetti sociali impliciti, peraltro non richiesti. (Rigenerare il Bel Paese, Rubbettino, 2022).

Mi sembra poi evidente che vi è stato anche il tentativo di replicare alcuni modelli – primo fra tutti quello della Unité d’Habitation di Le Corbusier a Marsiglia – senza possedere la caratura progettuale occorrente per esprimersi a quel livello.

Questa temperie culturale è oggi definitivamente tramontata, ma i guasti che ha lasciato dietro di sé sono enormi e per la gran parte non risolti.

 

Zen – Palermo

 

5. Per di più si è verificata una circostanza paradossale: la scomparsa nel governo delle città e nella pratica urbanistica di quella che un tempo si chiamava “edilizia economica e popolare”, il che significa che ormai da decenni non si realizzano più alloggi destinati alle fasce di popolazione meno abbienti. La conseguenza è che questo mercato è lasciato interamente nelle mani delle imprese di costruzione e che vi è un netto incremento dell’abusivismo edilizio.

A questo abbandono ha corrisposto un netto spostamento di attenzione per l’edilizia di “fascia alta”, la cui dimostrazione più eclatante è quanto è avvenuto nel quartiere Isola a Milano tra fungaie di grattacieli e boschi in verticale. Lì i costi degli acquisti e degli affitti sono cresciuti a dismisura, escludendo del tutto le esigenze abitative di una parte consistente di popolazione – operai, impiegati, studenti, coppie giovani, precari – che hanno redditi medio-bassi.

Peraltro sulla gestione di queste operazioni è intervenuta la magistratura che ha portato alla luce a Milano 150 casi di irregolarità consistenti nel mancato rispetto della Legge urbanistica nazionale, per lo più in materia di altezze e volumi.

Ebbene per difendere chi ha commesso queste irregolarità è stata messa a punto un’apposita legge – già approvata dalla Camera e attualmente in discussione al Senato – che non solo sana i reati commessi nei casi milanesi, ma estende a tutti i Comuni italiani la possibilità di intervenire a modificare gli indici edificatori con la presentazione da parte dell’interessato di una semplice SCIA-Segnalazione Certificata di Inizio Attività.

E’ molto probabile che questa legge venga presto approvata dato che la gran parte delle forze politiche la sostengono, quindi direi che è del tutto evidente che il governo delle nostre città stia raggiungendo il suo punto più basso.

 

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