È la conferenza che lo psicoanalista e filosofo statunitense James Hillman ha tenuto a Siena il 17 novembre 1999, organizzata dal “Centro Interdipartimentale di Studi Antropologici sulla Cultura Antica” dell’Università di Siena, nella traduzione di Donatella Puliga. La dispersione degli uomini e la moltiplicazione delle lingue sono presentate come una risposta divina all’arroganza del progetto umano di universalità. La lingua unica e semplificata a cui ci costringono le nuove tecnologie è un ritorno alla Babele biblica.
«Il racconto del mito di Babele occupa la parte iniziale del capitolo XI del Libro della Genesi: “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. (…) Si dissero l’un l’altro: “Venite, costruiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo e disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti un’unica lingua ed ecco, questo è l’inizio della loro opera. E ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile”. Non sarà loro impossibile significa “Ora potranno fare qualunque cosa”. Un commentatore ebraico, che scrive in pieno Medioevo, spiega così; “Ora potranno mettere in trono l’idolatria”.
“Il Signore – continua il racconto della Genesi – li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse per tutta la terra”. Quindi la dispersione degli uomini e la creazione di un’infinità di lingue sembra essere una punizione divina del peccato più grave per Israele: l’idolatria.
A ben vedere, nel mito della torre di Babele possiamo enucleare tre diverse problematiche. La prima è quella dell’origine delle lingue: come ha avuto inizio un così gran numero di lingue? (…) Insieme a questo, il racconto biblico affronta un altro problema: perché esiste un grandissimo numero di popoli su tutta la terra, una realtà umana così profondamente plurale? A un terzo livello, infine, si pone il problema della hybris, l’atteggiamento di tracotanza, di superbia: è proprio quando il popolo è ancora un unico popolo che concepisce l’idea di arrivare fino al cielo o, come dicono più tardi i commentatori ebrei, che matura l’intenzione di attaccare addirittura il cielo, di ingaggiare una guerra con Dio, di innalzare idoli o di distruggere il cielo con lance e frecce.
Quale fu la punizione che Dio inflisse agli uomini per tale atto di hybris? A ogni popolo fu assegnata una sua lingua particolare, e mentre prima tutta la terra era unificata da una sola forma dell’espressione, a partire da quel momento gli uomini furono dispersi: via via che occupavano l’intera geografia del pianeta, ebbero molte lingue: la dispersione su tutto il pianeta e la differenziazione dei luoghi geografici (…) sono legate alla molteplicità delle lingue, e costituiscono una risposta alla hybris dell’unificazione.
(…) Il mito della torre di Babele si ripropone oggi, nel nostro presente. Il sessanta per cento dell’uso quotidiano della lingua nei sistemi di comunicazione – Internet, Web – è fatto di parole americane. In tal modo siamo obbligati a guardare alla lingua americana (…). È la lingua della medicina, degli affari, della scienza, dei viaggi, dell’ingegneria, del Web. Ci si chiede se questa lingua durerà.»
James Hillman, Elogio di Babele.