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LE CITAZIONI: Boccaccio, Penelope o della fedeltà coniugale

by Ernesto Scelza
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È il capitolo XXXVIII del “De mulieribus claris” (1361) di Giovanni Boccaccio, nella traduzione dal latino di Donato Albanzani del 1397. L’opera presenta a scopo morale le vite di 106 donne, dall’antichità mitica al medioevo, da Eva alla regina Giovanna di Napoli, sulla scorta del “De viribus illustris” di Francesco Petrarca che trattava delle biografie di uomini famosi; e dopo aver composto un’altra opera intitolata “De casibus virorum illustrium”. Il ritratto di Penelope trasferisce dall’antichità all’età moderna, non senza significative difformità, l’immagine di Penelope simbolo della fedeltà coniugale.

 

«Penelope, moglie di Ulisse, figliuola d’Icaro re, uomo di somma prudenza e virtù, fu una donna di grandissima bellezza e somma onestà, e esempio incorruttibile santissimo e eterno delle donne. La forza dell’onestà di quella fu stimolata per lungo tempo indarno; perchè essendo ella giovanetta, vergine, e per la sua bellezza molto amata, lo padre la maritò a Ulisse, del quale ella partorì Telemaco. Dopo questo egli fu inviato, anzi quasi tratto per forza all’oste di Troja: di che Penelope rimase con Laerte suo suocero, e Anticlia sua suocera, e con lo piccolo figliuolo. E certamente durando la guerra per ispazio di dieci anni, non portò alcuna ingiuria, se non che stette a modo di vedova. Ma poi che fu guasta Troja, tornando i principi de’ Greci a casa, sopravvenne la nominanza, alcuni di quegli essere pericolati per tempesta di mare tra gli scogli, alcuni altri essere arrivati in altri paesi, e alcuni essere affondati in mare, e così pochi essere tornati nella patria; e solo Ulisse essere incerto dove egli era arrivato con sue navi.

Per la qual cosa, essendo aspettato lungamente a casa, non tornando egli, nè apparendo, quello essere stato veduto da alcuno, stimava ciascuno che egli fusse morto. Per la quale credenza Anticlia, miserabile madre, per mettere fine al dolore, con un laccio finì sua vita. Ma Penelope, benchè gravemente portasse l’assenza del marito, portò per lungo spazio lo sospetto della morte di quello: e dopo molte lagrime e molto chiamare d’Ulisse spesse volte indarno, deliberò con fermo animo invecchiare in castissima vedovità tra lo vecchio Laerte, e Telemaco, figliuolo fanciullo. Essendo quella bella, e di belli costumi, e di gentile schiatta, alcuni giovani d’Itaca, di Cefalonia, e di Etolia amavano e desideravano quella; da’ quali ella raddomandata con molti stimoli, e menomando la speranza della vita e del tornare di Ulisse, avvenne che Laerte per lo fastidio delli vagheggiatori stava in villa; e quegli aveano occupata la regal casa d’Ulisse, e con prieghi e con lusinghe stimolavano Laerte per potere avere quella per moglie. E temendo quella donna che non le fusse rotto lo sacro proposito del suo petto, non vedendo più via a negarlo, ispirata da divino lume, pensò almeno ingannare per infino ad alcuno tempo. Pigliando termini, e stimolando quegli, domandò che le fusse lecito aspettare lo marito, per infino che ella potesse compiere una tela, la quale ella avea cominciata, secondo regale donna. La qual cosa avendo conceduto lievemente quegli gentili uomini che la domandavano, ella con astuzia di donna ditesseva la notte nascosamente tutto quello che ella avea tessuto il dì. Con la quale arte ingannando quegli, che in casa di Ulisse consumavano i suoi beni in continui conviti, non potendo quella ingannare; avvenne per divina pietà, che essendo passati venti anni da che egli era partito di casa, Ulisse tornò in Itaca solo e sconosciuto, venendo del regno di Fenicia; e andò a’ suoi pastori per domandargli dello stato delle sue cose, maliziosamente in povero abito; esaminò Sibate, suo porcajo, già vecchio, dal quale ricevuto dimesticamente, seppe quasi come stessino i suoi fatti: e vide suo padre e Telemaco che tornava da Menelao, e nascosamente gli si diè a conoscere, e manifestogli tutta sua deliberazione. E avvenne, che Sibate lo condusse a casa sua non conosciuto; dove, poichè egli vide a che modo quegli aspettatori trattavano i suoi fatti; e come Penelope rifiutava contrarre matrimonio, mosso ad ira col figliuolo, e co’ suoi fattori e famigli, assalì quegli giovani che stavano in convito in casa sua; e nominatamente uccise Eurimaco, figliuolo di Polibo, Antinoo di Anfione, e Crisippo di Samo, Agelao, ed alcuni altri, e con quegli Melanteo suo pastore, e alcune femmine di casa, le quali, egli seppe, avere tenuto brigata con quegli: e liberò la sua Penelope dall’assedio di quegli; la quale finalmente appena potendo riconoscere quello preso da somma allegrezza, ricevè quello, avendolo lungamente desiderato. Licofion, greco poeta, nondimeno disse, che Penelope per fattura di Nauplo, il quale per la morte di Palamede suo figliuolo era nimico d’Ulisse, commise adulterio con alcuni di quegli nobili giovani che la domandavano: la qual cosa per veruno modo è credibile, essendo ella di tanta onestà per le scritture di tutti gli altri autori; la cui virtù è tanto più famosa, e tanto più da commendare, quanto ella si truova più rada, e quanto ella stimolata per maggiore battaglia perseverò più costantemente.»

Giovanni Boccaccio, Penelope, moglie di Ulisse.