Anne Applebaum è una giornalista e saggista statunitense naturalizzata polacca, che si interroga sul futuro delle democrazie occidentali. “Nell’ultimo decennio il mondo è divenuto protagonista di mutamenti politici, economici e sociali sempre più rapidi, che stanno portando alla creazione di nuove realtà politiche volte a cambiare, o addirittura stravolgere, le regole della democrazia occidentale”. “La nuova destra non vuole affatto conservare o preservare ciò che esiste. Nell’Europa continentale disprezza i democratici cristiani, che dopo l’incubo della seconda guerra mondiale usarono la loro base politica nella Chiesa per fondare l’Unione europea. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito ha rotto con il vecchio conservatorismo”.
«Forse i miei figli e i loro amici, tutti i nostri amici e tutti noi, in realtà, che vogliamo continuare a vivere in un mondo in cui possiamo dire quello che pensiamo in sicurezza, in cui un dibattito razionale è possibile, il sapere e la competenza sono rispettati, i confini possono essere attraversati con facilità, rappresentiamo uno dei tanti vicoli ciechi della storia. È possibile che siamo condannati, come la scintillante e multietnica Vienna asburgica o la creativa e decadente Berlino di Weimar, a scomparire nell’irrilevanza. È possibile che stiamo già vivendo il tramonto della democrazia; che la nostra civiltà stia già dirigendosi verso l’anarchia o la tirannia, come temevano gli antichi filosofi e i padri fondatori dell’America; che il XXI secolo vedrà arrivare al potere, com’è accaduto nel XX, una nuova generazione di “chierici”, fautori di idee illiberali o autoritarie; che le loro visioni del mondo, frutto di risentimento, rabbia o profondi sogni messianici, trionfino. Forse la nuova tecnologia dell’informazione continuerà a ostacolare il formarsi di un consenso generale, dividendo ulteriormente le persone e accrescendo la polarizzazione finché solo la violenza potrà decidere chi deve governare. Forse la paura della malattia genererà la paura della libertà.
(…) Per quanto sia frustrante, dobbiamo accettare il fatto che entrambi i futuri sono possibili. Nessuna vittoria politica è mai definitiva nessuna definizione della “nazione” ha la garanzia di durare, e nessuna élite di nessun tipo, cosiddetta “populista”, cosiddetta “liberale” o cosiddetta “aristocratica”, domina per sempre. La storia dell’antico Egitto sembra, a osservarla da grande distanza, una monotona successione di faraoni intercambiabili. Ma, a uno sguardo più ravvicinato, include periodi culturalmente illuminati e altri di cupo dispotismo. Anche la nostra storia, un giorno, apparirà così.
(…) Dalla precarietà del periodo che stiamo vivendo alcuni sono spaventati, eppure quest’incertezza c’è sempre stata. Il liberalismo di John Stuart Mill, Thomas Jefferson e Václav Havel non ha mai promesso niente di definitivo. I controlli ed equilibri delle democrazie costituzionali occidentali non hanno mai garantito la stabilità. Le democrazie liberali hanno sempre chiesto qualcosa ai cittadini: partecipazione, discussione, sforzo, lotta. Hanno sempre richiesto una certa tolleranza per la cacofonia e il caos e, nello stesso tempo, una certa disponibilità a respingere i responsabili di cacofonia e caos.
Esse hanno sempre riconosciuto la possibilità del fallimento, un fallimento suscettibile di rovesciare piani, alterare vite, spezzare famiglie. Abbiamo sempre saputo, o avremmo dovuto sapere, che la storia può ancora una volta penetrare nelle nostre vite private e trasformarle. Abbiamo sempre saputo, o avremmo dovuto sapere, che visioni alternative delle nostre nazioni cercheranno sempre di sedurci. Ma forse, scegliendo la nostra strada nella notte, scopriremo che a esse, insieme, possiamo opporre resistenza.»
Anne Applebaum, Il tramonto della democrazia.