“L’appiattimento del valore sul fatto, della norma sulla normalità, del diritto sulla forza”, afferma la filosofa Roberta De Monticelli in questo non facile libricino, “ha portato alla pubblica irrilevanza o alla latitanza quasi completa del pensiero filosofico di radice umanistica e illuministica che aveva ispirato le battaglie di libertà e giustizia del mondo moderno”. Eppure la filosofia, nata da Socrate, “si era trasferita nel corpo di documenti e istituzioni che hanno cambiato la storia del mondo: dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo fino al sogno ragionevole di un’Europa unita in pace, libertà e giustizia. Ma dove lo spirito le abbandona, le istituzioni umane vanno in rovina”.
«Il male “assoluto” esiste per noi solo al passato, quando ha finito, per lo piú, di uccidere. Così è la menzogna quando è da tutti riconosciuta tale – non fa piú male a nessuno. Male vero fa quando è ancora mista di verità, e per questo tanti se ne credono legittimati a distogliere gli occhi dalla parte di menzogna. Anche la menzogna uccide solo finché non è assoluta. E così è di ogni male morale: come nota Simone Weil in uno dei piú profondi fra i suoi pensieri, “il vero male non è il male, ma la mescolanza del bene e del male”. Perché solo dove c’è mescolanza lo sguardo può distogliersi dalla parte di male e volgersi a quella di bene, per quanto infinitesima. Può ignorare la parte di male. Guardatene la controprova: il male assoluto, il male da tutti riconosciuto tale, ha perduto l’artiglio, è diventato impotente. Solo pochi squilibrati rialzano le svastiche.
Ben altro seguito hanno oggi in tutta Europa xenofobie la cui potenziale efferatezza si nasconde dietro l’inadeguatezza o l’incoerenza delle normative sull’immigrazione (…).
Di solito parliamo della fine delle ideologie, ma questo, lungi dal fare luce sulla natura dell’idealità, la oscura profondamente. Le ideologie non hanno bisogno dell’idealità, la sostituiscono, ne sono degenerazioni. E anche la metafora che Zygmunt Bauman ha reso tanto popolare, quella delle “società liquide”, oscura invece di illuminare la natura dell’idealità. Essa ci fa pensare all’idealità come a un insieme di strutture rigide o solide, che a un certo punto si sono liquefatte: si può pensare allo scioglimento dei blocchi ideologici nelle società postmoderne, o alla liquefazione dei corpi organizzati, degli ordini e delle corporazioni, dei legami famigliari e comunitari, di quelle istituzioni normative che sono i costumi consolidati… E invece l’ideale il piú delle volte si oppone al reale: è in senso stretto ciò che il reale dovrebbe essere, e il piú delle volte non è. Ma una cosa che non è come dovrebbe essere non è un bene, e una cosa che è come non dovrebbe essere è un male: uno degli infiniti, piccoli, grandi o grandissimi mali di cui facciamo esperienza quotidiana – come quotidianamente facciamo esperienza anche di molti beni, dal buon caffè del mattino al privilegio di un po’ di tempo libero o di un buon lavoro. Ci sono tanti beni e mali, e di tante specie, quante sono le qualità di valore positivo o negativo delle cose.»
Roberta De Monticelli, Al di qua del bene e del male.