Vitaliano Brancati fa uscire nel 1946 “I fascisti invecchiano”, una raccolta di testi pubblicati, a partire dal febbraio 1945, su “La Città Libera” e “Risorgimento liberale” il cui “pregio principale risiede nell’impietosa analisi degli anni della dittatura, nella lucida, precoce -e per molti versi profetica- individuazione di alcuni tratti del nostro carattere nazionale” (Marco Dondero). In questo scritto citato è facile rintracciare un amaro ritratto del ventennio fascista e del suo capo, che mantiene tutta la sua attualità.
«Non so come i nostri pittori non abbiano sentito il bisogno di tramandare ai posteri la faccia del fanatico! È una faccia che di tanto in tanto emerge dal mare dell’umanità, ma forse mai, nemmeno ai tempi della Riforma e Controriforma, con l’opacità, chiusura, assolutezza di questi ultimi vent’anni. I libri e le opere (leggi: distruzioni) di siffatti rapiti, entusiasti, obbedienti, disposti a tutto fuorché a tollerare, ragionare e amare, rimarranno senza dubbio come una grave testimonianza; ma tutti insieme i libri, i giornali, gli opuscoli, le distruzioni, le armi e gli strumenti di tortura non faranno intuire il segreto dei nostri tempi con la rapidità e intimità con cui certo li farebbe una faccia di fanatico rimasta a vivere su una tela. Nel punto perfettamente opposto a quello in cui ragione e Cristianesimo hanno generato la tolleranza, dalla parte dell’universo in cui la notte permane eterna, sono spuntate queste facce. Una crudeltà priva di follia e di rimorsi, una pedanteria priva di scienza, una ingegnosità senza fantasia o estro, una barbarie senza candore e una corruzione priva di estetismo e perfino di mollezza, una vocazione al male miseramente occultata da nubi di stupidità, uno sguardo rivolto in basso con lo sconcio rapimento di chi ha scambiato la terra per il cielo, una bocca che si serra con stento per masticare comandi sebbene già palesemente slabbrata da urli servili, lo sprezzo del dinamitardo e il vestire del caporale, linguaggio di ribelle e stipendio d’impiegato, un essere in tutto beffato dal demonio, e pazzamente orgoglioso della sua sconfitta, ecco il soggetto del nostro quadro! Questo personaggio, che per vent’anni è cresciuto sotto i nostri occhi, e al quale forse, in taluni giorni della nostra giovinezza, pensiamo con raccapriccio di aver potuto rassomigliare, questo personaggio che ha appiccato il fuoco al mondo della serenità, della cortesia e della civiltà, e contro il quale si sono mossi, da tutti i lati, gli uomini liberi, può dirsi finalmente scomparso? Sarebbe doloroso che fra i tanti morti di morte violenta, fra le donne, i vecchi, i bambini, gli ignari, allineati nell’enorme cimitero di guerra che va dall’Africa alla Norvegia, non si trovasse proprio lui! Che tutto avessimo ucciso e distrutto, i suoi seguaci, i suoi affascinati, le sue amanti e i suoi cavalli, la casa in cui visse e quella in cui nacque, la nostra casa stessa e la nostra gioventù, ma non lui, che ancora si muoverebbe fra i vivi travestito nelle fogge più diverse!»
Vitaliano Brancati, I fascisti invecchiano.